Breve
memoria sulla vita e martirio del
D.C.D.G.
Calabrese
Beatificato il 7 Maggio 1867
Stab.
Tip. A. G. Pieri, Firenze
Via Ghibbellina, 19 Telefono – 26-293
Nel riportare alla luce queste brevi pagine, fedeli alla storia, non vi è altro intento che di edificazione.
L’ardore e lo zelo con cui il Beato Camillo Costanzo si dedicò all’Apostolato della Verità, sprezzando onori e ricchezze, meritano di essere ricordati ed additati a tutti come nobile esempio di una Fede pura ed intensa, per la quale anche il più atroce martirio viene affrontato con serenità e con gioia.
Ed il martirio del Beato ricevette subito la ricompensa Divina, poiché il suo corpo restò bianco ed intatto fra le fiamme ardenti fino all’ultimo, per mostrare così all’umanità che in virtù della Santa Fede possiamo conservarci puri, anche in mezzo alle più gravi rovine morali.
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Nacque il P. Camillo da Tomaso Costanzo e Violante Montana della più onorevol famiglia nella Motta Bovalina, terra della Calabria, dodici miglia lungi dalla città di Gerace. Quivi spesa la prima età nello studio delle lettere, se ne passò a Napoli a studiarvi ragion civile: indi militò qualche anno in Ostenda sotto il Principe Alberto, finchè noiato del mondo, gli volse le spalle e si dedicò a servire a Dio nella Compagnia di Gesù in età di venti anni. Per desiderio di patire e guadagnare anime a Cristo dimandò ed ottenne la mission della Cina. Nel Marzo del 1602 partì d’ Italia; e da Goa per Malacca e Macao nel medesimo mese del 1604. Se non impeditogli per non so quali imponenti ragioni l’ingresso nella Cina, fu inviato al giappone, dove superata una formadibile tempesta , prese porto in Nangasachi ai 17 di Agosto del 1605. Quivi studiata un anno la lingua ebbe il regno di Bugen per campo delle sue fatiche, indi la città di Sacai, ove durò sei anni coltivando i fedeli e guadagnando alla fede da ottocento e più idolatri, che poi la maggior parte morirono per la fede. Nel bando generale del 1614 fu costretto ad uscir dal Giappone e ricoverarsi a Macao della Cina; ed ivi stette sette anni componendo in elegante lingua giapponese, di cui era peretissimo, quindici libri in confutazione degli errori di tutte le sètte di que’ paesi, e altre due opere in difesa della fede cristiana. L’anno 1621, prese abito di soldato tornò al Giappone, mentre infieriva la persecuzione, e l’anno appresso,dopo aver coltivato la cristianità dei regni di Figen,di Gieugen, e di Firando, fu preso da’ persecutori, e conseguì la palma del martirio, come aveva sempre desiderato e chiesto a Dio nelle sue orazioni. Era egli, quando egli morì abbruciato a fuoco lento, in età di 50 anni, de’ quali 30 li aveva spesi nella Compagnia, e 17 nella Missione del Giappone.
Il suo glorioso martirio è raccontato dal P. Boero nel modo seguente:
Il 15 Settembre 1622 seguì il memorabile trionfo del beato P. Camillo Costanzo, sacerdote della Compagnia di Gesù. Era già da tre mesi, ch’egli faticava nell’isola d’Ichitzuchi scorrendola con apostoliche missioni e lasciando per tutto le ultime pruove della sua carità; quando raccordò al suo albergatore il bisogno di visitare i fedeli di Noscima, isoletta che anch’ella si attiene al dominio di Firando lungi di colà un qualche dodici leghe. Quegli vel confortò e volle andar seco; e saliti amendue sopra un legnetto a due rematori, con esso Gaspare Cotenda catechista del Padre, e Agostino Otu, s’avviarono a Noscima.
Appena avevano preso mare, che una donna più fervente che saggia li diè tutti senz’avvedersene,in mano a’ persecutori e alla morte. Questa e cristiana e fervente s’era poco avanti confessata col P. Camillo, e tutta in ispirito e in devozione altro non desiderava che di condurre alla fede Monami Soiemon suo marito, ufficiale della giustizia in quella isola d’inchitzuchi, e pagano. E gliene disse quel più e quel meglio ch’ella seppe: aggiungendo, che quando mai più avrebbe una sì bella occasione come ora d’un santo religioso? Che dove voglia udirlo ragionar della fede, e averne il battesimo ella gliel condurrà. Il malvaggio idolatra fintosi alla semplice moglie persuaso d’udirlo e: seguitarne i consigli l’andò destramente scalzando, e ne cavò a poco a poco quanto ella sapeva; chi l’aveva menato a quell’isola, chi sel raccoglieva in casa, chi il conduceva, chi l’aiutava a sostenere e a promuover la fede; e ch’egli poco avanti s’era partito per Noscima, e non andrebbe a molti dì, che il riavrebbero in Ichitzuchi. Così minutamente istrutto il traditore, spedì a riferire il tutto ai governatori di Firando: e questi a lui mandarono tre legni armati; sopra i quali Umanoco presidente della giustizia in quell’isola, ed egli seco, saliti s’avviarono battendo a Noscima. Ma già il P. Camillo era passato oltre all’isola di Ucu, mezza lega distante, e i persecutori proseguendo a cercarne vel trovarono in porto a’ ventiquattro d’Aprile di quest’anno 1622. Era Ucu della signoria di Gotò, né Firando vi aveva giurisdizione per trarnelo: ma Sansì riscotitore dell’entrate del principe, e in dignità il maggiore dell’isola, il diè loro; con che allegrissimi della preda, via nel menarono a Noscima. Ma l’allegrezza fu brieve; perocchè interrogati e Giovanni e Agostino e Gaspare, e gli altri, ognuno in disparte, riseppero lui essere Camillo Costanzo della Compagnia di Gesù; ed o quivi udissero la prima volta, o già per fama sapessero l’uomo ch’egli era forte lor ne dispiacque; legato strettissimamente ogni altro e marinai e compagni della sua barca, lui solo non si ardirono a toccare. Anzi giunti che già era notte a dar fondo in porto a Noscima, il mandarono invitare ad una lor cena, che apparecchiavano sontuosa: ma egli graziosamente se ne scusò; e nondimeno per non parer loro afflitto della prigionia o villano ripigliò se non fosse non altro che onorarlo di certa loro bevanda, il gradirebbe: e subito il messo ritornò ad invitarlo in nome di quei signori a scendere in terra, e,già che più non voleva, prender da essi quel segno di amicizia e di cortesia. Singolare fu la riverenza con che il ricevettero; e fattol sedere nel luogo, più onorevole, bevve: e rimasto con essi alquanto in dolcissimi ragionamenti, accomiatossi, e si tornò ai suoi compagni in mare. Fatto l’alba si mise mano a’ remi con le prode verso Ichitzuchi; dove giunti col sole spartirono i prigioni per due luoghi diversi, quivi lasciando Giovanni e gli altri, che n’eran nativi: il P. Camillo e Agostino e Gaspare suo catechista, li condussero cinque leghe più oltre a Firando.
In giungere il P. Camillo a Firando il presentarono a due giudici di quella corte, i quali, dice egli in una sua al Rettore di Nangasachi, mi domandarono chi era io! Risposi, che religioso della Compagnia di Gesù, e per nome Camillo Costanzo. Soggiunsero: A che fare venuto al Giappone? Ne diedi conto: e trattami dal seno una apologia in iscritto, loro la presentai. Ripigliaran per ultimo; E perché non ubbidire al Xongum signore del Giappone? Al che io: L’ubbidire ai principi la mia legge me l’ordina, fuorchè dove essi comandino cose al voler di Dio contrarie, e tale è il vietare che il Xongum ha fatto, che l’evangelio si predichi nei suoi regni. Ciò udito, pronunziò un di loro che io meritava la morte, e in questo mi fu gittato un capestro alla gola. La medesima notte fui mandato alt’isola di Inchinoscima, dove sto in carcere con due religiosi, l’uno di S. Agostino, l’altro di S. Domenico. Il viver nostro ordinariamente è quaresimale, riso ed erbe e tal volta un poco di pesce. La prigione, ancorchè non sia delle chiuse con isteccato attorno,ha però molte guadie; ed io predico loro cose nostre, ed essi a tutto consentono; e dicono che, se il Xongum nol vietasse, si renderebbero cristiani. Io per me aspetto la risposta da Iendo, e con essa d’ora in ora la morte: Fiat voluntas Domini, a tutto sto apparecchiato. Così egli della sua condannazione troppo succintamente, peroché altronde sappiamo, che quando gli fu messa al collo la fune, egli fatto un sembiante da uomo il più contento del mondo, si rivolse a’ giudici, e disse loro, ch’eran molti e molti anni ch’egli desiderava quello di che ora essi l’avean fatto degno, d’esser legato per una tal cagione, qual è predicar la legge del vero Iddio. E dicendogli con ischermo un de’ giudici, che si fatto desiderio non potea cader in cuore altro che a un pazzo; ripigliò egli a dire, com’era degno della nobiltà del suo spirito e di così subblime argomento, gloriosandone e giubilandone: e che più pienamente il farà, quando per la stessa cagione si venga a crocefiggere, o abbruciar vivo, o comunque altramente parrà loro di ucciderlo. Ben poco o nulla è quel che sappiamo del viver suo nella prigione d’Ichinoscima; perocchè ella è un’isola in alto mare dodici leghe sopra Firando,e non praticata, se non che sol la toccano di passaggio le navi, che vi traggittono dal Giappone al Corai e quivi attendono il vento che loro bisogna. Solo ne abbiamo che egli in alcune sue chiama beata la sua vita in quell’esilio, in quell’eremo; e priega i Padri a non si dar niuna pena di lui, anzi per lui render grazie a Dio, che tal mercè gli avea fatta, che maggior non saprebbe desiderarla. E confessa, che quando gli avveniva di passar vicino alla carcere di Suzuta, dove erano il P. Spinola e que’ tant’altri religiosi in aspettazion della morte, profondamente le s’inchinava, e sentiva brillarsi in petto il cuore e tutto invigorito lo spirito per la vicinanza di quella beata prigione. Erano caramente amici egli e il P. Pietro Paolo Navarro: e quando avveniva loro d’incontrarsi, grandemente si consolavano ragionando della gloria de’ martiri e della felicità del martirio; e l’uno all’altro ne comunicava i suoi desiderii. Or che amendue eran prigioni, si raccordavan per lettere i passati ragionamenti e il brieve tempo che rimaneva a compirsi i lor desiderii. Anzi il P. Navarro,incarcerato quattro mesi prima di lui, gliene spedì subito avviso, aggiungendo che l’aspetterebbe in cielo o martire o confessore. A cui il P. Camillo, poiché anch’egli fu preso riscrisse dalla prigione dandogliene tutto allegro la nuova, e ricordevole dell’invito: Eccoci, dice, dov’ella mi aspetta, e dove io tanto ho desiderato trovarmi. Già ho confessato Cristo e la sua santa legge innanzi a’ giudici; e forse sarò prima di lei a morire; e l’indovinò. Ma perciocchè di lui s’attendevano le risposte e la sentenza dalla corte di Iendo lontano da Firando poco men di quando è lungo il Giappone a levante, prima di lui furono coronati i suoi compagni in diversi luoghi e tempi.
Precorso in cielo questi suoi cari, anch’egli in fra pochissimo tempo tenne lor dietro: perocchè intanto venne a Gonracu la sentenza, che sopra di lui s’attendeva dalla Corte di Iendo, e fu d’arderlo vivo. Il che denunziatogli, ebbe, il sant’uomo i primi saggi di quell’allegrezza di spirito; che poi mostrò in mezzo alle fiamme mai più né prima né dopo lui simile non veduta: e in segno d’esso seguendo l’uso dei giapponesi mandò al Provinciale Paceco in dono il suo reliquiario, dentrovi anche la solenne professione de’ quattro voti che avea fatta in Macao l’anno 1616, singolarmente degna d’aversi in riverenza,onde anche il Paceco la fe’ pubblico patrimonio di quella provincia.
Tratto dunque di carcere e condotto a Firando, quivi diè fondo a Nangiozache, luogo destinatogli a morire: e gli fu subito incontro a riceverlo una barchetta con sei servitori del Principe, accolti da lui in sembiante allegrissimo e con affettuosi rendimenti di grazie: come altresì un ufficiale colà inviato da Nangasachi per assistere alla sua morte in scambio di Gonracu. E qui un de’ ministri del Signor di Firando si fece avanti a domandargli chi fosse e d’onde e di che età e da quanti anni in Giappone: e rispostogli, tutto registrò in iscritto da inviarsi alla corte di Iendo. Era il luogo apparecchiatogli, alla morte non dentro l’isola di Firando, ma dirinpetto in Tabira, quasi a fronte della città nella controcosta ch’era dello Scimo, e con un canale che vi corre framezzo si divide dall’isola. Quivi sulla spiangia poco lungi dal mare avean piantato una colonna di legno, e tutto intorno ad essa disposta un gran catasta chiusa anch’ella dentro una siepe di bambù ingraticolati. La moltitudine d’ogni maniera di gente, che già ne attendeveno la venuta e in terra e in mare era grandissima: e fedeli e pagani, e perfin gli eretici inglesi e olandesi, che tutti insieme vi trassero da Cavacci, uno dei due principali porti dell’isola, dove il lor naviglio di tredici legni era sorto. Il sant’uomo inviatosi alla catasta andò que’ poco più o meno di cento passi, che n’eran lungi con tanto giubilo e celerità, che vi pareva anzi portato con impeto; e i cristiani, che ne conoscevan l’andare, meravigliando dicevano mai simile prestezza non aver veduta in lui. Su l’entrar dentro al cerchio fermatosi, e accomodandosi all’usanza de’ giapponesi in simil punto, disse in voce alta: Io son Camillo Costanzo italiano e religioso della Compagnia di Gesù; se v’ha qui cristiani che m’odano il sappiano. E così detto entrò in mezza alla catasta, e ritto in piè davanti il palo vi si diè a legare, come seguì, all’antica maniera strettissimamente; ed eran le funi canne peste e ritorte, che poi smaltaron di fango, perché più tempo reggessero al tormento del fuoco. Allora egli rivoltosi verso dove era più numeroso il popolo, in gran voce e ben udita come da luogo eminente, dichiarò la cagione di quell’arderlo vivo altro non essere, che l’aver egli predicata in quei regni la legge del vero Iddio, indi fattosi da quel testo di S. Matteo: Nolite timere eos qui occidunt corpus, animan autem non possunt uccidere, ragionò in ottimo giappo del sopravvivere che fa l’anima alla morte del corpo, e della eternità o felice o misera, a cui si passa alla vita presente. Per istentato e tormentoso che sia il morir di qua, pur finirsi, ma non sia già mai quella, secondo il merito, o vita o morte, che l’anima ricomincia in perpetua beatitudine o dannazione: e sopra ciò prosegui a dir fin che volle: né se non posciacchè tacque, i carnefici miser fuoco nella stipa per tutto intorno, e ne usciron dal cerchio. Allora cominciando egli già ad ardere ricominciò il predicare: Intenda ognuno, diceva, che non v’è altra via da salvare l’anima che quella della fede e della santa legge di Gesù Cristo. Tutte le sette de’ Bonsi sono vane, son empie, sono ingannevoli: tutte menano l’anima in eterna perdizione. Mentre così diceva, le fiamme si levaron si alto, che egli più non si vedeva, ma se ne udiva la voce cos’ì ferma e in un dir sì gagliardo e si efficace, come fosse in su il pulpito predicando, non in mezzo al fuoco ardendo. Poi si quietò, e intanto il fumo si rischiarò, e dieder giù le fiamme tanto che fu riveduto. E comparve in atto di attentissima orazione, col volto e gli occhi in cielo, tutto immobile e d’un sembiante giocondissimo: e così stato un poco, ritornò sul dire, ma in altra lingua e in altro tono; e cantò come si suole nelle chiese, il salmo Laudate Dominus omnes gentes con esso infine il Gloria Patri: e quel finita si tacque. E già credevano che con questa lode di Dio in bocca spirasse: quando tutto improvviso ripigliata la voce tornò a predicare, frammescolando alle giapponesi molte parole latine, che poi fedeli, avvegnacchè ben l’udissero, non le seppero ridire.Ma quello che in tutti eccitò maggior meraviglia, e fece credere, ch’egli sopraffatto da una eccessiva consolazione infusagli da Dio nel cuore, non sentisse il tormento del fuoco, fu lo sclamar ch’egli fece, ripetendo tre volte una cotal forma propria di quella lingua, quando estremamente si gode di alcuna cosa; come sarebbe fra noi: O bene! O che piacere! E ciò fu appunto quando le fiamme fatteglisi già più vicine ricrebbero tanto che tutto l’involsero: ed, o gli abbruciassero il vestito che era il proprio della Compagnia, o per altro che io non so veramente dir che, egli apparve, come appunto ne scrivono di colà, candido come neve: poi di lì a poco per lo cocimento del fuoco tutto bronzino ed annerato; né più altro se ne aspettava, se non che già morto cadesse a piè del palo. Né tardò molto: ma non doveva quell’anima tanto infiammata di Dio uscirgli per andarsene a Dio, se non lodando con le medesime parole di quegli che in paradiso son più da presso a Dio e più ardon di lui: e rialzata per ultimo la voce, con uno sforzo tale che fu intesa ben di lontano, gridò Sanctus, Sanctus, e nella quinta volta che ripetè, chinò il capo e spirò. Di tutte particolarità fin qui riferite, vi ebbe testimoni una immensa moltitudine di spettatori e uditori: e durò gran tempo a ragionarsene e da’ fedeli e dagli idolatri con quella meraviglia e lodi, che a tanta virtù si doveano.
Cadde questo glorioso trionfo della fede di Cristo in Giappone il 15 Settembre del 1622, essendo il P. Camillo di cinquanta anni, trenta della Compagnia e diciassette della missione giapponese. Il suo corpo fu gittato a perdersi in una corrente di mare, che va rapidissima ivi verso Firando; e il menò Iddio chissà dove: perocchè non valse a P. Giovanni Battista Beaza Rettore di Nangasachi il mandarne in cerca per tutto colà intorno que’ lidi: che mai fu potuto trovare.
TRIDUO IN ONORE DEL
Beato Camillo Costanzo
da
Bovalino Superiore, per ottenere
le
grazie di cui si ha bisogno
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Comincia
il 22 Settembre
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Nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo.
Gloriosissimo Beato Camillo Costanzo, che per aver avuto in questa terra i natali, siete presso Dio il nostro potente intercessore, guardate pietoso la mia necessità ed ottenetemi da Lui la grazia che ora per mezzo vostro, umilmente chiedo. (Si esponga la grazia che si desidera)
Pater, Ave e gloria.
Gloriosissimo
Beato Camillo, intrepido apostolo
del vangelo, che predicaste ai popoli barbari del lontano oriente, concedetemi
la grazia di professare costantemente la santa fede per essere degno ora e
sempre della misericordia del Signore.
Pater, Ave e Gloria.
Beato
Camillo, che consumaste la vita
con glorioso martirio, dando a Gesù Cristo la prova più grande dell’amore,
concedetemi la grazia di amare Dio con tutto il cuore e di amare
il prossimo come me stesso per amore di Dio, affinché allietato da
quelle celesti benedizioni che mi sono necessarie nella vita presente e che
fervidamente imploro, possa conseguire nell’altra vita il premio eterno. Così
sia.
Pater, Ave e Gloria.
Pregate
per noi o Beato Camillo.
Affinché
siamo fatti degni delle promesse di Cristo.
PREGHIAMO
Signore
che hai voluto illustrare il glorioso martirio del Beato Camillo indefesso
predicatore della fede presso la gente giapponese, concedi a noi tuoi servi che
infiammati del divino amore, per la di lui intercessione possiamo arrivare a te
felicemente.
Per
Cristo Signore nostro, così sia.
Visto si approva
Bovalino
Superiore, 30 Luglio 1928
Giovan Battista Vescovo