Lo Stabilimento di Bricà sorse per iniziativa dell’Ing. Giuseppe Primerano, professionista appartenente ad una famiglia bovalinese che da diversi anni praticava l’industria e il commercio dei legnami.
La “ FRATELLI PRIMERANO s.p.a.”, uscita dalla forma artigianale paterna, aveva realizzato, fin dal 1935, altri impianti industriali in Calabria, sempre nel settore legno. Quello di maggiore importaza era rappresentato da una moderna Segheria meccanica impiantata sulle falde orientali dell’Aspromonte, in prossimità del villaggio pedemontano di S. Luca ( la patria di Corrado Alvaro ) e alimentata da un’importante rete di teleferiche che attingevano la materia prima da tutte le foreste dell’altipiano calabrese meridionale.
Nel 1950 la “ FRATELLI PRIMERANO “ – che fu la prima azienda dell’Italia Meridionale ad essere inclusa nei benefici degli aiuti ERP – iniziò la costruzione del nuovo stabilimento di Bovalino, in contrada Bricà, per la realizzazione del quale furono investiti capitali, pubblici e privati, dell’ordine di un miliardo e duecentomilioni, ai prezzi dell’epoca, di cui appena il 40% coperto da finanziamenti a medio termine a tasso agevolato, in base alle leggi sull’industrializzazione del Mezzogiorno e gli aiuti sul Piano ERP.
Lo stabilimento di Bricà, completato nel 1953, entrò in funzione nello stesso anno e gli Uffici tecnici all’Azienda realizzarono subito un importante ritrovato – del quale fu concesso regolare brevetto – per la fabbricazione di un pannello speciale per porte denominato PORTEX.
La bontà dei prodotti che uscivano dalla Fabbrica di Bricà, irradiandosi per i mercati italiano ed esteri, posero all’Azienda Primerano seri problemi sul piano della gestione.
L’elevatezza dei tassi di interesse del credito ordinario e la totalità delle reali ( ipoteche, privilegi ecc. ) che la “Fratelli Primerano “ fu costretta a prestare agli Istituti finanziari che le concessero i crediti per integrare il suo capitale di rischi, spinsero – ben presto – l’Azienda sulla via della crisi; crisi tanto più accentuate, quanto maggiormente si esplicava – per vie diverse – la lotta dei grandi complessi nordici, del settore legno che, ovviamente, si sentivano minacciati da questa nuova importante unità produttiva, agente in un mercato avido il quale, per questi grandi complessi, fu sempre lo sbocco dei loro prodotti, piuttosto scadenti, come ineluttabilmente avviene quando si opera in regime di monopolio, di fatto o di diritto.
L’iniziativa, indubbiamente pionieristica, non ebbe – peraltro – il necessario supporto politico che richiedono le grandi opere destinate ad incidere sul tessuto di un’economia arretrata qual’era – e, purtroppo, ancora è, per molti versi – quella calabrese.
La classe politica meridionale, ancora ai primi vagiti, non fu alla altezza di competere con i più agguerriti rappresentanti degli interessi nordici ed ogni buona volontà della deputazione parlamentare calabrese ( per la verità esplicatasi in varie circostanze, per tentare di salvare lo stabilimenti di Bricà ) fu facilmente sopraffatta dalle ragioni del più forte, in un contesto politico di assoluto conformismo governativo.
Bricà cadde e con essa furono travolte le più belle speranze di una popolazione meridionale che riteneva di poter trarre, da questa intelligente e coraggiosa iniziativa, i segni del suo riscatto economico e sociale.
Per la storia: Quando le strutture dell’Azienda Primerano – sia tecnica che economica – erano ancora ben salde ( 1957 ) fu una ditta concorrente del nord – creditrice di appena sei milioni di lire verso di essa che chiese, pervicacemente, ed ottenne, ( in sede di appello ) il fallimento dell’Azienda suddetta, mandando sul lastrico circa 600 famiglie di lavoratori.
Il resto è storia recente.
DESCRIZIONE
DELL’OPERA
Lo stabilimento sorge nelle immediate vicinanze della Marina di Bovalino, a circa 600 metri dall’abitato, in una zona ben servita dalla viabilità avendo tutto un fronte, lungo m. 136, sulla strada nazionale Jonica n. 106 Reggio Cal. Taranto fra l’85 chilometro.
E’ molto prossimo allo prossimo allo scalo marittimo, sebbene questo sia rappresentato da un semplice tratto di spiaggia aperta incuneato in una ben riparata insenatura, dista appena 800 metri dallo scalo ferroviario di Bovalino e circa 80 km. Dal porto di Reggio Calabria.
La zona dove sorge è pianeggiante con una lieve pendenza verso il piano stradale – circa 1,50% - ed è ricca di acque trovandosi ubicata nella parte marginale di un grosso torrente: il Careri.
Il complesso degli impianti che occupa una superficie di mq. 30.310, di cui circa mq. 13.000 coperti, è costituito essenzialmente dalle seguenti opere:
a) |
Recinzione |
b) |
Edificio Uffici e Alloggi Dirigenti |
c) |
Portineria e deposito motorette |
d) |
Edificio servizi |
e) |
Autorimessa |
f) |
Centrale Termoelettrica |
g) |
Idrovora |
h) |
Pavimentazione e asfaltatura strade e piazzali |
i) |
Fognatura |
l) |
Impianto idrico potabile |
m) |
Rete distribuzione idrica antincendi |
n) |
Impianto telefonico |
o) |
Capannoni di lavorazione |
Recinzione.
La recinzione è fatta di muratura in blocchetti di cemento vibrato di cm. 20x20x40, pilastratura di cm. 40x40 ad interesse di m. 4, con una altezza media di m. 2,60 dal piano di campagna e per tutto il perimetro dello stabilimento, esclusa una zona centrale di m. 62 sulla parte frontale di esso ( lungo la nazionale 106 ) occupata dall’edificio Uffici.
Edificio Uffici e Alloggi Dirigenti
L’edificio è situato sulla parte frontale dello stabilimento, lungo la super strada nazionale 106, per una lunghezza di m. 62,40 e una larghezza di m. 13; a due piani, il tutto per complessivi 45 vani, di cui 6 doppi, oltre i servizi e gli accessori.
L’opera è realizzata con struttura resistente in cemento armato, divisa in tre parti da 2 giunti di dilatazione; il corpo centrale di essa, destinato agli uffici veri e propri, è limitato dai suddetti giunti.
Le due parti estreme dell’edificio costituiscono i 4 alloggi per i dirigenti; due a piano terra e due a primo piano.
Le strutture resistenti sono in cemento armato vibrato e sono costituite da n.20 telai trasversali monolitici con interasse di m. 3,60, aventi alla base una trave rovescia di fondazione, da due travi maestre, una in corrispondenza del solaio di marcapiano e l’altra in corrispondenza del solaio di copertura; nonché da due montanti esterni e da due centrali, questi ultimi delimitanti il corridoio del corpo di fabbrica.
Il volume totale dell’edificio è di mc. 6.560
Portineria e deposito motorette
Quest’opera sorge nel lato NW dello stabilimento ed è costituita da:
a) Un cassonetto per marcatempo di m 4x4 altezza m. 3,60.
b) Un vano a giorno per il guardiano di m. 4x4 altezza m. 3,60. Nell’interno vi sono sistemati gli apparecchi di controllo per i materiali e quelli di sicurezza e di segnalazione per gli impianti.
c) Una tettoia per deposito biciclette, di m. 24x4 altezza m. 3,60.
Il volume totale dell’edificio della portineria e deposito motorette è di mc. 460.
Edificio servizi
L’edificio comprende:
a) |
Officina falegnameria |
Superficie coperta mq. 192 |
b) |
Officina meccanica |
“ “ “ 192 |
c) |
Locale spaccio operai |
“ “ “ 48 |
d) |
Cucina maestranza |
“ “ “ 48 |
e) |
Refettorio operaio |
“ “ “ 144 |
f) |
Spogliatoio, docce e serv. igienici uomini |
“ “ “ 96 |
g) |
Idem donne |
“ “ “ |
Autorimessa
E’ addossato al muro di cinta dello stabilimento dal lato SW. Subito dopo il primo pozzo dell’idrovora.
La superficie è di m. 32x8 = mq. 256; altezza m.5 dal lato piano di campagna.
Il volume totale dell’edificio è di mc. 1.280.
Centrale Termoelettrica
E’ costituita da un unico fabbricato diviso in due reparti: caldaia e turbo-generatore.
La superficie coperta è di m. 24x10 = mq. 240, e l’altezza, per far si che il cenerario della caldaia ed i condensatori si trovino al livello del piano di campagna, è di m. 12 circa.
La costruzione è simile alle altre descritte in precedenza e cioè in cemento armato con tamponatura in blocchetti di cemento vibrato.
Il volume totale dell’edificio è di mc. 2.880.
Idrovora
E’ costituita da due pozzi, uno principale situato nel vertice WSW dello stabilimento ed uno sussidiario lungo il lato SW del muro di cinta.
Ambedue, il primo del di m. 6 e il secondo di m. 3 hanno una profondità media di m. 15 e sono costruiti con pareti cilindriche in cemento armato.
L’acqua freatica viene captata da 2 elettropompe e immessa direttamente nel circuito industriale di utilizzazione.
Pavimentazione strade e piazzali
La superficie totale dei piazzali e delle strade interne dello stabilimento ammonta a mq. 17.300 circa.
La pavimentazione è costituita da una massicciata di pietrisco di cm. 25 circa con sovrapposto uno strato di cm. 7 di brecciame spaccato e rullato.
Il copertino è costituito da uno strato di brecciolino e la bitumatura è fatta a due strati; il primo a caldo ed il secondo a freddo.
Fognatura
La rete della fognatura da:
CONSIDERAZIONI GENERALI DI ORDINE POLITICO SOCIALE ED ECONOMICO SULLO STATO DELLA “ CONCA GLAUCA “
PREMESSA
Il versante Jonico della provincia di Reggio Calabria, e particolarmente quello compreso tra Capo Spartivento e Punta Stilo, la zona cioè che i poeti e i turisti romantici definiscono “ Conca Glauca”, per certi soavi e inconfondibili tonalità cromatiche del suo cielo e del suo mare, è il territorio al quale si riferiscono le nostre considerazioni.
A sud di esso si va verso la regione dello Stretto, i cui maggiori centri urbani, d’ambo le sponde, ne polarizzano la vocazione e l’interesse, mentre a nord comincia la provincia di Catanzaro; rimarcando lo stesso, se non più accentuato, squallore ambientale. La limitazione geografica, che abbiamo imposto al nostro “ rapporto “ non significa che a nord, o a sud, o al di là dei crinali aspromontani, non vi sia materia di lagni; ma già il nostro compito avrebbe avuto condizionamento più ristretto, se i sentimenti di solidarietà non ci avessero consigliato di prospettare, a tanto cari amici, l’opportunità di non porre un problema di campanile, ancorché proprio nell’area del “nostro” ricerchiamo per ora una possibile soluzione immediata, ma di rendere partecipi, col loro consenso e la loro fraterna adesione, tutti quelli la cui vicenda civica gravita sulle stesse montagne abbandonate, sulle stesse sterili colline, sulle stesse valli aride e deserte, sulle stesse spiagge aperte e luminose, sullo stesso incantevole mare.
Non faremo una relazione scientifica o tecnica, perché ce ne sono già, negli archivi e nelle biblioteche, migliaia di esemplari di varia natura e, generalmente, di alto pregio, sicchè, ove i nostri governanti non avessero letto quelle, sarebbe pretendere troppo si soffermassero su di una nuova, tanto più se questa ha sapore critico. Non parleremo di storia, se pure a qualche riferimento di cronaca meridionalistica dovremo indulgere; e non parleremo di politica, per non inquinare tutto il discorso.
Avendo vissuto, non soltanto da spettatore, nell’arco del mezzo secolo abbondante che va dal “fatidico 24 maggio” ai nostri torbidi giorni, le vicende di questa nostra terra dilettissima, riteniamo che la nostra testimonianza, alla quale non potremo, per ovvie ragioni, dare una considerazione documentaria articolata, possa egualmente rappresentare un elemento di conoscenza, non ricusabile a priori, per la formazione di un ragionamento sulla questione calabrese in genere, e sulla quella jonica - reggina in particolare. Forse il ricorrente aggancio alla nostra presenza nel colloquio, o nel dibattito, o nella polemica o nell’azione pubblica, in cui si manifestava e si sviluppava il fermento rinnovatore di quella arretratezza economico-sociale che ci relegava, e purtroppo ci costringe tuttora, all’ultimo posto della graduatoria del progresso su scala nazionale, farebbe credere ad un maldestro tentativo di contrabbandare una pubblicità gratuita a sfondo personalistico, ma la nostra antica umiltà ci affranca da eventuali sospetti. D’altronde, se noi fummo, per tanti lustri, in forma di funzioni autorevolmente delegateci o per autonoma propensione al compimento dal nostro civico dovere, pellegrini di amore e di giustizia per il “natio loco”, a chi gioverebbe ora se, mal consigliati da un discutibile senso di riservatezza e di modestia, tacessimo quel che a noi sembra utile a più ampio corredo del ragionamento?
La tematica del nostro ritardo sui tempi dello sviluppo globale, riferita all’evolversi della Nazione o della Regione, s’inserisce in qualsiasi paradigma con l’autorità dei suoi dati negativi; pertanto riteniamo sorpassata, e comunque poco producente, la concettualità parallelistica sui campioni diversi, specie se vi concorrano fattori fatalmente inassimilabili.
In fondo, noi stiamo male non in dipendenza del fatto che altri stanno bene, ma perché stiamo obiettivamente male; cerchiamo quindi d’individuare ( e quante volte lo abbiamo già fatto!..) i mitivi di fondo e gli aspetti più rilevanti di questa nostra situazione disperatamente deficitaria. Accenneremo sobriamente ai tre capitoli classici del nostro grigio momento di popolo: Agricoltura, Industria e Turismo; senza divagare su altri aspetti minori, ma non meno validi della panoramica generale. E per sottolineare la contingente prevalenza del problema dello Stabilimento di Bricà, in Bovalino, invertiamo l’ordine di precedenza dei primi due capitoli. Tanto, gli addetti fanno sempre la stessa triste somma… di guai!
L’INDUSTRIA
Poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, un atto di amore e di audacia ideato e compiuto da cinque giovani fratelli bovalinesi fece balzare il nostro paese, e la vasta zona della Locride che su di esso gravita per natura convergenza, alla ribalta di un tipo nuovo di notorietà. Facevamo con sicurezza di movimenti e con validità contingente e potenziale di obiettivi, uno dei primi concreti passi sulla strada dell’industrializzazione del medio e basso Sud. Lo Stabilimento per la lavorazione del legno della S.p.A. Fratelli Primerano, offrì motivi di ammirato apprezzamento non soltanto alle popolazioni della zona nella quale si era insediato (che ne traevano un più diretto e insperato vantaggio e un motivo di tranquillità economica e di sereno orgoglio), ma anche ad imprenditori estranei, ad uomini politici, a tecnici a giornalisti d’ogni regione d’Italia e anche dell’estero. Fummo all’ordine del giorno del tanto discusso “nuovo corso” meridionalistica: fummo potati ad esempio di ardimento e di buona volontà; ma le ferree leggi della conduzione aziendale, cui non può far difetto la disponibilità del capitale d’esercizio, che gli appositi istituti finanziatori bloccavano a cagione di esasperanti sistemi cautelativi che mai si conciliano con il concetto di agevolazione, esautorarono gli sforzi pionieristici della generosa pattuglia di fondatori e gestori dello Stabilimento, provocandone la dolorosa paralisi. E fu un grave lutto per Bovalino e per i centri vicini, che proprio in virtù della continuità e della certezza di un lavoro razionale organizzato, andavano consolidando una piattaforma stabile di convivenza in clima di benessere.
Una lunga e umiliante fase di comprensibile disagio, che ebbe amare ripercussioni in ogni manifestazione della nostra vita pubblica e privata, seguì alla chiusura dello Stabilimento, fino a quando, con l’acquisizione del complesso da parte dell’Azienda di Stato delle Foreste, parve che nuovamente si schiudessero le speranze. Ma furono soltanto speranze, cui solo in parte corrispose l’impegno rianimatore della nuova gestione, la quale, essendo un’azienda di Stato, avrebbe dovuto dimostrare coi fatti quello che si era prima sostenuto con i rapporti e le trasferte: cioè, che l’iniziativa era valida, che il programma aziendale rispondeva a criteri di sana economia industriale, che la grinta sociale era fortemente sostenuta da un congruo impiego mano d’opera del posto; in conclusione, che l’esempio, come tale, andava incoraggiato e sospinto.
E invece si è messo in moto un ennesimo carrozzone burocratico, improduttivo se non addirittura passivo, che frustra il concetto animatore dell’impresa, soggiacendo a malintesi scrupoli concorrenziali ed a letterali limitazioni statutarie, che fanno il gioco di un errato concetto di “necessità sociale”, a tutto danno della serietà e dell’economia.
Ci è stato detto che bisogna rispettare le leggi, per vecchie che siano, e che l’osservanza di queste leggi, mosaiche soltanto per età, non consente nulla di più e di meglio di quel che si sta facendo. In proposito, ci sentiremmo autorizzati da un pizzico di buon senso per domandare a chi di ragione: 1.) se una legge che autorizza l’Azienda di Stato delle Foreste Demaniali di acquistare un complesso industriale per gestire in proprio ed in perdita, al solo scopo di sperperare il pubblico danaro; 2.) se c’è una legge che inibisce alla stessa Azienda di Stato di attuare un qualsiasi accorgimento operativo che, nell’ambito del settore specifico di base e utilizzando la stessa materia prima disponibile, servendosi altresì di attrezzature meccaniche già installate e pronte, e tecnologicamente valide, le permetta di conseguire nello stesso tempo le positive finalità di rendere attivo il bilancio della gestione e di assorbire una considerevole maggiore quota di mano d’0pera in un ambiente povero; 3) se c’è una legge che vieta di farne delle altre, allorquando è chiaro ed incontrovertibile che la prima è fuori tempo, è fuori logica, è fuori della realtà viva e presente.
Se le risposte saranno esatte, non rimane altro ai Signori Dirigenti del ripetuto Ente di Stato, che rimboccarsi le maniche e cambiare registro! Sullo Stabilimento di Bricà, che a buon diritto fa da alfiere al movimento di riscossa già in atto, i nostri governanti e le personalità più direttamente attente e interessate ai nostri problemi, riceveranno più vaste e approfondite notizie tecnico-economiche. Si tratterà poi, nella peggiore delle ipotesi, di determinare il tipo di cecità e di sordità, a edificazione modernissima delle famose Parabole del Vangelo.
Ma il problema dell’industrializzazione non è logicamente, ristretto al caso Bricà, pur restando questo il più importante, il più urgente e il più significativo. Investe altresì ogni altro tentativo più o meno fortunato sorto nel comprensorio in esame, e tra essi qualcuno che nel settore oleario, ha decisamente contribuito a rompere la spirale dell’antica sudditanza alle raffinerie del Nord, inserendosi nella produzione degli oli commestibili con un primato di qualità: la R:I:C:A. di Bovalino, che resta ancora sulla breccia malgrado le deprecate inadeguatezze finanziarie.
Si tratta comunque, di opifici di scarso rilievo, tra i quali il maggiore non impiega cinquanta persone nella sua stagione alta.
Uno di questi tentativi minori, che pareva volesse irrompere prepotentemente nel contesto di una stentata proliferazione pre-industriale, fu la S.I.B.A., anch’essa di Bovalino, della quale si sa soltanto che è chiuso il grande cancello d’ingresso e sbarrate le porte di un misterioso stabilimento che le erbe assediano da tanti anni. Chi ne sa la storia triste ricorda con commosso rimpianto tre poveri giovani operai nostri, rimasti mortalmente colpiti dallo scoppio di una caldaia, durante il breve periodo di attività dell’edificio. Si disse che il macchinario installato era usato, corroso e riverniciato; e perché non se ne sono accorti i collaudatori? E se centinaia di milioni di contributi o prestiti agevolati non ebbero giusto destino, cosa hanno fatto gli organi preposti al finanziamento per risanare la partita?
Forse, se si fosse trattato di un povero diavolo calabrese, ed anche per irrisoria cifra rispetto a quella erogata alla S.I.B.A., l’eventuale inadempienza sarebbe stata perseguitata con rigore, e sulla sfortuna la punizione ci stava bene!
Vorremmo fare una domanda “non pertinente”: tutta qui la legge?
Frattanto, a complicare le necessarie e legittime riparazioni insorgono gl’inconsulti doppioni. C’era da industrializzare la produzione forestale ed agricola, soggetta a tutte le dispersioni e a tutte le speculazioni, come programma di decollo, e abbiamo detto “bravo” ai pionieri, e li abbiamo indebitati fino alle ossa, e quando hanno chiesto aiuto per mantenere in piedi le loro iniziative, invece di rinsanguarle con pochi milioni, spendiamo miliardi per impianti similari, in modo che le prime muoiano più speditamente!
Certo, se alla marcia di rinnovamento si proponessero guide oneste e capaci, assegnando loro compiti precisi nelle dimensioni e nel tempo e fornendoli di mezzi sufficienti, i fenomeni deteriori che oggi lamentiamo e deploriamo non si verificherebbero. E invece, chi la lascia e chi piglia questa nostra esausta pelle! Non diciamo, per carità, con Padre Dante, che “un Marcel diventa, ogni villan che patteggiando viene”; ma preghiamo fervidamente San Bartolomeo, che tanto soffrì per via di una certa operazione, che ci tenga lontani da quell’ingrata sorte!
Le industrie pesanti, ad alta tecnologia, se è vero che per ogni addetto richiedono un investimento medio di cento milioni, non ci allettano, e pertanto non ci sentiamo di protestare perché si sono attestate in Campania ed in Puglia; ma ci sono industrie minori, medie e piccole che potrebbero piazzarsi quaggiù; soprattutto industrie manifatturiere. Campa cavallo!…
Noi siamo molto lontani dai punti di partenza delle carovane del benessere, ed anche se per raggiungere la Sicilia, (via terra, s’intende) non si può fare a meno di percorrere la Calabria, c’è modo e modo di effettuare questo scorrimento: passare sulla terra o calpestarla. Ed è questione di gusti, di contingenze di programmazione. Il territorio ionico si può anche non considerarlo; è tagliato fuori dalle grandi correnti di traffico.
Quando, in tempo utile perché si potesse provvedere in conformità, gridavamo, in Consiglio Provinciale, che L’Autostrada del Sole intanto avrebbe raggiunto utilmente la città di Reggio Calabria, in quanto sarebbe passata prima per San Gregorio, gli amici del Consesso non cedettero molto al nostro allarme; quando, quasi contemporaneamente, sotto le già nominate volte dello Stabilimento di Bricà, ripetemmo al Ministero Pastore, che l’Autostrada del Sole soltanto sui lidi jonici avrebbe potuto legittimare e consacrare la lettera e lo spirito della sua ragione battesimale, ci hanno creduto in pochi. Oggi è una ben triste soddisfazione sentirci dire che avevamo ragione!
Ma non tutto è irrimediabilmente perduto, se subentrerà l’impegno politico dei nostri rappresentanti al Governo e al Parlamento, a dare la sterzata giusta al processo di rinascita. Abbiamo un Ministro dei Lavori Pubblici che non si dà riposo per accelerare i tempi del suo generoso impegno; abbiano un Sottosegretario all’Agricoltura che ha reso parecchio e potrebbe rendere molto di più; abbiamo ben due Sottosegretari alle Partecipazione Statali, animati da buona volontà, sui quali incombe l’obbligo politico, morale e civile, di riparare alle manchevolezze e alle spoliazioni potenziali di cui si è reso colpevole quel Ministero, disattendendo, malgrado le invocazioni di giustizia delle popolazioni interessate, alle indubbie e categoriche disposizioni della legge, che sanciva doversi distribuire gl’investimenti produttivi in ogni regione del mezzogiorno; abbiamo un sottosegretario ai trasporti che promette molto bene e pensa di farlo perché sa di poterlo fare; insomma, la nostra attuale posizione rappresentativa al vertice del potere politico, anche per l’apporto di autorevolissime personalità calabresi d’alto rango, è di quelle che consolano le migliori speranze. Quali ostacoli potrebbero impedire la più felice realizzazione di tali speranze, se noi stessi non tradissimo, per debolezza o per basso calcolo elettorale o per discordie intestine, la nostra amata terra?
E’ necessario quindi vitalizzare le iniziative già in atto, a cominciare dallo Stabilimento di Bricà, la cui sorte non è certo legata ad un fatto di pulizia e di equità amministrativa in campo salariale, ma investe sacrosante esigenze della collettività. Le scappatoie procedurali possono servire ad un tatticismo controproducente, e noi abbiamo da tempo molto rispetto per l’intelligenza dei Dirigenti della Forestale, per non essere convinti che anche loro sono stufi dei mezzucci, degli spauracchi, reticenze dilatorie frammiste, cui a volte sono costretti o sorretti dalla…ragion di Stato.
Nessuno, che abbia senso e cultura di civile responsabilità, pensa che le leggi debbano essere violate o disattese, ma tutti hanno diritto a chiedere leggi sincronizzate coi tempi, leggi moderne, leggi vive per una società che vuole vivere.
Anche il settore industria, come diremo per l’agricoltura, necessita di appositi organi consultivi; le stesse Camere di Commercio potrebbero istituire albi specializzati, chiedendo anche la collaborazione qualificata di operatori forestieri, onde soccorrere sul piano direzionale quelle imprese che ne avessero bisogno.
L’ importante è lasciare da parte i soliti padreternoni dal sapere facile, e non indulgere a mascherature assistenziali di congressi che non si può fare a meno, certi consulenti si paghino a casa, perché stiano zitti. E la regola valga per tutta la vita pubblica.
Sotto certi aspetti, non è nemmeno auspicabile che l’industria, qui da noi irrompa in presa diretta. E’ una ipotesi remota, ma forse è meglio che non ci rimproverino d’aver chiesto, putacaso, la FIAT a Bovalino. Ci sono delle localizzazioni specifiche, diremmo predestinate, per i colossi industriali; e, a parte il coefficiente nefasto di monopolizzazione territoriale che ha caratterizzato l’espansione economica e sociale di questa nostra Italia, solo politicamente unita, le cose fatte restano eloquentemente indicative…ed ammonitive. Ma noi abbiamo bisogno del polmone industriale che deve essere di natura manifatturiera, che non snaturi l’ambiente fisico e paesistico, che assorba l’eccedenza attuale della mano d’opera e che soprattutto, richiami quella emigrata, perlomeno in misura bilanciata; onde cessi il mortificante fenomeno dell’esodo avventuroso, che dà poco frutto di benessere e turba la coscienza dell’uomo libero. E’ di questi giorni la minacciata espulsione dal territorio della vicina Svizzera, di centinaia di migliaia di lavoratori stranieri, e di questi una sensibile aliquota è rappresentata da calabresi; che ne sarà di questi nostri fratelli se non faremo nulla per accoglierli e trattenerli tra noi? Lo sforzo edilizio in atto non abbonda di braccia ma non ne risente molto la mancanza; quando la nuova legislazione urbanistica avrà pieno vigore normativo, molte unità occasionalmente occupate nel settore resteranno senza lavoro, o ne troveranno poco: la prospettiva è preoccupante, ed è urgente prepararsi al domani.
Tralasciamo, a questo punto, d’intrattenerci sul vergognoso fenomeno delinquenziale che ammorba l’attività edilizia, specie quella pubblica. Il campanello d’allarme ha tragiche risonanze; bisogna correre ai ripari senza indugi e senza remore. Ma non con la sola repressione.
L’AGRICOLTURA
La “fonte primigenia della vita” si inaridisce sempre più ! Va verso la morte; e pochi capiscono che quando il grembo onusto della terra non darà più pane, più olio, più frutti, l’umanità davvero non avrà più bisogno di nulla: perché sarà scomparsa! La grande malata, sulla cui sorte furono scritte innumerevoli pagine, e da parte di studiosi insigni che lasciarono orme indelebili di sapienza e di saggezza nella storiografia della “ questione meridionale “, e da parte di valorosi scienziati ed uomini politici che con lucida competenza e fervido amore trattano nelle apposite sedi e sulla stampa i termini compressi di questo universale problema di vita e di convivenza. Ma i rimedi suggeriti, o non si applicano, o si applicano male, o non sono adeguati a conseguire lo scopo che si prefiggono; sicchè la “ grande malata “ declina disperatamente.
Nel limitato territorio al quale riferiamo le nostre considerazioni, l’agricoltura fu, pressoché in ogni tempo, la risorsa fondamentale. Già da prima dei mitici approdi greci, e poi nel corso di decine di secoli, la terra nutrì, pur attraverso l’alterna ventura del loro reggimento comunitario, le popolazioni su di essa insediate. Non vi era altra sorgente di vita, oltre il poco che dava la caccia primitiva, e la pesca nei periodi in cui il mare non era infestato dalla pirateria. L’olivo, la vite, la quercia, la spiga, l’agrume, il fico, l’orto, il solco irrigato, l’allevamento semplice ma redditizio del bestiame, erano i capisaldi della attività agricola, che s’identificava col panorama complessivo dell’economia locale. Era un sistema un po’ miope, arcaico, patriarcale, ma dava da vivere a tutti, mentre lasciava fiorire ingegni ed opere, di cui tuttora vantiamo preziose testimonianze.
Il problema dell’agricoltura, in funzione di matrice primaria della convivenza, si accentuò col sorgere del nostro secolo, quando la emigrazione dei braccianti verso le lontane Americhe, pose l’accento sulle carenze dell’indispensabile fattore umano nella grande lotta per l’esistenza. Fu appunto quando si rese molle la prima maglia del sistema produttivo che balzarono alla meditazione dei ceti responsabili gli imperativi che la realtà nuova poneva alla politica economica e sociale di tutto il Mezzogiorno. Nel corso degli studi, dei convegni, dei rimedi sintomatici, delle percosse naturali cui bisognava rimediare d’urgenza a tutto scapito di provvedimenti organici frequentemente accantonati e qualche volta addirittura dimenticati, dello svilupparsi delle provvidenze assistenziali e delle pensioni ai lavoratori che ne ammorbidivano la morsa del bisogno, e infine, elemento principe, della rarefazione della popolazione attiva in dipendenza dell’incessante flusso migratorio, il problema assunse caratteristiche e proporzioni paurose, contro le quali nemmeno la Cassa per il Mezzogiorno e la Legge Speciale, ora rilanciate verso quota 80, hanno potuto, per quanti buoni e onesti sforzi gli si debbano riconoscere, mutare la situazione.
Non è però su questo tono critico e protestatorio che intendiamo indugiarci, anche perché riteniamo discutibile l’opportunità di una simile impostazione, massime in queste note. Diciamo però con certezza e con franchezza, che l’agricoltura di questo versante jonico decade e muore, ad onta dei “polmoni d’acciaio” che ne mantengono in vita particolare aspetti, come quello delle primizie orticole coltivate in serra, dalle piante di fiori per essenze e di qualche altra coltura specializzata, nonché dell’integrazione comunitaria del prezzo dell’olio e della miserevole fine delle eccedenze agrumicole.
Né vale per noi lo specchietto della programmazione, perché siamo allodole ormai smaliziate abbastanza. L’adattamento di questo mostruoso ingranaggio tra i ferrivecchi e i criteri nuovi della nostra complicatissima macchina statale, ci ha regalato di già un sensibile e dannoso ritardo nel rilancio (se così può definirsi impunemente l’arrivo tartarughesco delle provvidenze destinate a queste contrade) della “Cassa” e della “Speciale”. Noi gridiamo: fate presto, la casa brucia! Di solito ci si risponde, piuttosto placidamente, di aspettare perché il soccorso è allo studio. Le conseguenze è facile immaginarle.
Che cosa chiediamo, ancor oggi, e da oltre mezzo secolo?
Una politica di verità, di onestà, di consapevolezza e di giustizia che aggredisca la nostra terra nel suo grembo, con la precisa e decisa volontà di ridarle vita ed onore, perché a sua volta vita ed onore trasfonda nei suoi figli. Quali sono i capisaldi della lotta per il riscatto? Proviamo a farne un succinto elenco, senza ordine prioritario:
1) CONSOLIDAMENTO DEL SUOLO, A TUTTI I LIVELLI. Non si può concepire un’azione rinnovatrice di bonifica integrale, se si prescinde dalla condizione primaria, che è quella di consolidare le pendici, di irreggimentare le acque, di contenere gli alvei e proteggere zone rivierasche, di sostenere stabilmente l’inamovibilità dei centri abitati. Il tutto con visione organica delle prospettive di sviluppo, con ordine tecnico e scientifico che sappia proiettare il beneficio nel tempo e nello spazio. Possibilmente, evitare che su uno stesso bacino imperversino più enti, in basso a criteri deleteri di competenze promiscue, che poche volte riescono a conciliare unitariamente le varie interferenze.
2) VIABILITA’ ED EDILIZIA RURALE senza preferenze intossicate da compromessi interpretativi e da equivoche destinazioni, e senza esasperanti impostazioni tecnicistiche, che magari salveranno le norme di edilizia, ma affosseranno il principio informatore della residenza sui campi.
3) RIDUZIONE DEI CARICHI FISCALI, che strozzano con imposizioni oppressive ogni tendenza alla rivalutazione del reddito agricolo.
4) RIDUZIONE PREFERENZIALE DEL PREZZO DEI FERTILIZZANTI, delle sementi selezionate, delle macchine e degli attrezzi agricoli; da applicare con sistemi nuovi, meno farraginosi e con meno suscettibili d’illeciti benefici per i soliti furbi: dovunque e per qualsiasi ragione essi operino dietro il paravento delle disposizioni di legge
5) ACCESSIBILITA’ ALLE GRANDI CORRENTI DEL TRAFFICO, mediante nuove strade di collegamento e di scorrimento. Costruzione a tempi brevi della nuova strada pedemontana del jonio, che ponga fine all’attuale sistema a pettine ed allacci tra i centri collinari che ancora resistono al depauperamento umano.
6) ISTITUZIONE SERIE ED EFFICIENTE DI CONDOTTE AGRARIE COMUNALI, che impongano al personale qualificato di passare permanentemente almeno mezza giornata sui campi, in un continuo impegno di sperimentazione e di assistenza tecnico-pratica, riportando così il perito agrario alla originaria funzione di cattedratico ambulante.
7) FORNITURA GRATUITA DI PIANTINE DI OGNI GENERE, da prodursi nei vivai selezionati dello Stato, ed assegnazione, sempre gratuita, di giovani animali d’allevamento, siano destinati alla produzione della carne che del latte, o da impiegarsi nei servizi ausiliari della meccanizzazione agraria e nei trasporti interpoderali minori.
8) ANTICIPAZIONE DI MEZZI FINANZIARI A LUNGA SCADENZA, senza interessi, ai piccoli e medi operatori agricoli, di entità proporzionata al progetto e non al patrimonio di garanzia preesistente all’iniziativa; evitando altresì, nei limiti di un ragionamento indirizzo prudenziale, tutte le angherie che hanno contratto lo slancio imprenditoriale.
9) ACQUA, E POI ACQUA, E INFINE TANTA ACQUA. Senza di questo elemento di base, la battaglia per l’agricoltura è perduta prima di essere combattuta. Il cielo ce ne dà poca, e in maniera tanto disordinata e irrazionale che la si può soltanto desiderare per semestri, o maledire per settimane. Per ovviare a questo fenomeno ossessivo non c’è che la ricerca, la captazione, la raccolta e la distribuzione delle correnti subalvee e delle acque che possono immagazzinarsi in piccoli invasi pre montani o di bassa collina, utilizzando le precipitazioni atmosferiche.
Se le cose nostre non fossero così lontane dai telescopi politici romani, e se i grandi clinici della terra non preferissero tele diagnosticare e tele- non-curare i nostri mali antichi e nuovi, noi di quaggiù non avremmo motivo, dopo tanti miliardi spesi non sempre bene e tante chiacchiere diffuse non sempre a proposito, di riattaccare il disco ormai logoro delle lamentazioni. Fatto sta che prima dell’avvento della programmazione come spettro di Stato, noveravamo già afflitti da una non deprecabile programmazione a soldi spicci, e i risultati del mini esperimento non si possono considerare che deludenti. Non abbiamo idiosincrasie psicologiche per la programmazione, ma non possono non rilevare con amarezza che anche tra i programmatori, ufficiali o aggregati, si sentono diverse lingue, se proprio non “orribile favelle”.
Frattanto notiamo che per rivitalizzare questo angusto lenbo di terra jonica, debbono coordinarsi gli inventi della Cassa per il Mezzogiorno, del Comitato di coordinamento per l’applicazione della Legge, Speciale, dell’Ente di Sviluppo in Calabria, dell’Ispettorato Compartimentale per l’Agricoltura, dell’Ispettorato Dipartimentale delle Foreste, del Consorzio di Bonifica del Versante Calabro - Jonico Meridionale, del Consorzio per la Bonifica dell’Aspromonte, del Provveditorato alle Opere Pubbliche per la Calabria, del Comitato Regionale per la Programmazione Economica dei vari Ministeri che per un verso o per l’altro hanno poteri di decisione o di consultazione obbligatoria, delle Camere di Commercio e delle Organizzazioni Sindacali, degli Enti Locali e di tanti altri Uffici ed organismi, la cui esistenza non si giustificherebbe se non potessero intervenire a dire la loro sulla programmazione.
Sono troppo gli “strumenti” da accordare, ma il guaio peggiore è che il maestro manca. Sicchè ricorre al nostro pensiero quel che dicemmo ai partecipanti ad un qualificato e memorabile convegno tecnico - meridionalistico, di risonanza nazionale,or sono tredici anni, sempre a Bricà, parlando per legittima rappresentanza civile: “…non basta, per redimerci, mandare un Ispettore Generale di Pubblica Sicurezza, con tutto uno stato maggiore di funzionari e con agenti valorosi e fedeli, ma occorrono anche altri ispettori generali,e che siano dei Lavori Pubblici, dell’Agricoltura, del Lavoro; che siano funzionari decisi e pronti, affiancati da collaboratori capaci e muniti di mezzi adeguati, che facciano una missione di giustizia e non una trasferta di punizione, che affondino le mani e l’intelletto nelle piaghe e le curino con spirito di sacrificio e di solidarietà umana, che restino fra noi per renderci quel bene cui abbiamo pieno e incontrovertibile diritto: che ci correggano, che ci guidino, che ci estromettono magari dalle funzioni che dimostrassimo di non saper disimpegnare, che facciano insomma tutto quanto è necessario è inderogabile per renderci fratelli giusti, legittimi, uguali a tutti i fratelli d’Italia.
Parlavamo un linguaggio italiano e cristiano, ma parlavamo al vento! Chi se ne ricorda più? O meglio, si ricordano gli Organi centrali dello Stato, e mandano un Vice Prefetto a presiedere il Comitato di Coordinamento della Legge Speciale, a Catanzaro. Con tutto il rispetto e la stima che dobbiamo all’egregio Funzionario, osiamo dire che a quel posto avremmo visto meglio l’illustre Amministratore il cui nome era stato fatto, insistentemente e giudiziosamente, alla vigilia della ricostituzione del Comitato, oppure un alto funzionario tecnico – amministrativo. D’altro canto, il presidente scaduto era un valoroso Provveditore alle Opere Pubbliche, che aveva tenuto questo importante ruolo proprio a Catanzaro. Non si poteva perpetuare il buon consiglio precedente?
IL TURISMO
Le prerogative naturali della”Conca Gauca” sono universalmente ritenute eccellenti. Chi ci viene una volta, riparte col desiderio cocente di ritornare; e ritorna. Le attrezzature ricettive, da qualche anno sorgono con promettente affermazione qualitativa e quantitativa. Per sino il tipo di ospitalità casalinga, che prima soggiaceva a certa mentalità retrograda di diffidenza e di esasperata riservatezza, cede il passo a concezioni nuove della convivenza; magari non se ne fa una speculazione economica, per non infirmare il fondamento di generosità che ispira l’insolita accoglienza, ma si schiudono ormai le porte di casa, anche alla gente sconosciuta che viene da fuori.
Gli impianti balneari sono belli e accoglienti, i Lidi si affollano anche smisuratamente a volte, le feste canore e danzanti si susseguono per l’intera estate. Alberghi che potrebbero figurare degnamente in località di rinomanza nazionale, sono già in funzione, ed ottimi ristoranti, accoratissimi, soddisfano le esigenze più raffinate; i servizi pubblici si disimpegnano discretamente; insomma, le premesse necessarie per una attività turistica che sia nel contempo una valvola di sicurezza economico-sociale, sono avviate piuttosto bene.
Nel settore delle infrastrutture di base è onesto riconoscere che l’ammodernamento dell’arteria litoranea statale N. 106, per la quale abbiamo condotto un’appassionata battaglia durata una dozzina d’anni, è una notevole dimostrazione concreta della buona volontà dei pubblici poteri. Come abbiamo detto innanzi, occorre razionalizzare la trama viaria con criteri di novità e di complementarità; costruendo nuove strade, come l’accennata pedemontana del Jonio per la quale promuovemmo a suo tempo un voto unanime del Consiglio Provinciale di Reggio Calabria, e la lungo marina che vada in un primo tempo da Bianco a Roccella, assorbendo nel suo tracciato lungo le sponde meravigliose del Jonio, il magnifico lungomare di Siderno e quelli, in fase di sistemazione, di Locri, di Gioiosa, di Roccella, di Bovalino, di Ardore. Sarà questa un’autentica “strada del sole”, che naturali e forestieri apprezzeranno e godranno.
Altro problema preminente è il collegamento integrativo trasversale destinato a congiungere San Luca a Delianova, passando per l’antico Santuario di Polsi, rifugio montano della veneratissima Madonna della Montagna. Jonio e tirreno ne risentirebbero i cospicui benefici; soprattutto l’economia silvo - pastorale, il turismo, l’agricoltura e, diciamolo senza falsi pudori, il fatto sociale, che si spoglierebbe del coefficiente “pericoloso” dell’inaccessibilità, verso luoghi sospetti di costituire un comodo ricettacolo di convegni non precisamente religiosi.
Una esigenza di fondo, insopprimibile e insostituibile, dello sviluppo turistico, è la disponibilità piuttosto abbondante di acqua potabile, di cui non tutti i centri della “Conca Glauca” sono provvisti a sufficienza; anzi, nessuno è in grado di sopperire ai maggiori bisogni della popolazione stagionale. Gli acquedotti vanno ammodernati e potenziati, e l’utilizzazione del prezioso elemento deve essere difesa dalle abusive dispersioni. Una adeguata assegnazione pro-capite renderà meno penosa e più facile la disciplina del consumo; pertanto il problema deve essere affrontato dalla Cassa per il Mezzogiorno, che ha fatto tanto per venire incontro alle nostre popolazioni e che certamente compirà nel miglior modo l’opera benemerita.
Il turismo, fonte di benessere che costituisce un pilastro essenziale della struttura economica nazionale, deve scoprire la Calabria, perché la Calabria è tutta bella. I nostri posti sono miniere di serenità, di luce, di mitezza climatica, di splendore paesistico; essi consentono di potersi spostare in un’ora, da qualsiasi lido all’accogliente frescura delle selvose groppe aspromontane. E già tanta gente, che abitualmente risiede in regioni fredde e umide del nord, viene da noi a fare dei bagni di sole in pieno inverno, magari approfittando delle poche vacanze natalizie. Questa tendenza potrà essere incoraggiata e consolidata a condizione che gli organi dello Stato e delle Amministrazioni locali realizzino gli impegni, ricorrenti in ogni consultazione elettorale, sia per quanto riguarda le infrastrutture, sia per quanto attiene al sostegno delle iniziative private.
Noi abbiamo l’amarezza, ma la fortuna insieme, di disporre di un turismo di nostalgia, di cui sono fedeli portatori i nostri fratelli emigrati lontano dalla propria terra d’origine. Essi vengono spesso a rivedere i paese, i campi, il mare, il cielo della loro infanzia, e nei loro occhi si legge facilmente il potente desiderio di tornare a vivere e a lavorare dove sono nati.
Ecco perché crediamo nel turismo; e perché riteniamo fermamente che esso rappresenti, sotto certi aspetti, il ponte d’oro sul quale avrà saldo inizio la grande marcia del nostro riscatto.
CONCLUSIONE
Abbiamo tentato di tradurre e di concretare, nell’arida ma pur sincera esposizione dell’uomo della strada, il pensiero comune alla gente della nostra cara “Conca Glauca”. Chi abbia vissuto circa tre quarti di secolo tra questa stessa gente, davanti allo stesso mare, sotto lo stesso cielo, accanto agli stessi olivi, nella visione consolatrice della stessa augusta catena di monti, nel patimento della stessa passione calabra, considera sue anche tutte le case; e tutti gli anziani, fratelli, e tutti i giovani, figli; e tutti i bimbi, fiaccole paradisiache di fede e di speranza; così abbiamo scritto quello che abbiamo detto sempre, quello che avremmo ripetuto oggi se avessimo incontrato per la via uno di quegli uomini che la sorte ha comandato ad aver peso e privilegio di responsabilità pubbliche. Non è quindi una relazione, non è un memoriale, non è uno studio, non è un particolare compendio statistico; ma è quel che non dovrebbe essere più necessario in regime di libertà e di democrazia: un richiamo ai diritti e ai doveri che promanano dalla realtà!
Ma un secolo di storia unitaria si trascina appresso le pagine grigie della “Questione Meridionale”; questa nefasta falla politica, questo sconcio pretesto dialettico inventato per non fare l’Italia.
Chi ha orecchie per ascoltare, ci ascolti! Domani, forse, è troppo tardi!
Bovalino, giugno1969
Pietro De Domenico