b Arma
dei Ruffo
L'arma
di casa Ruffo è antichissima. Le prime notizie documentate dell'uso di
quest'arma, da parte di cavalieri del Casato, risale al tempi di (8) Pietro I
ossia al 1200, ma essa è certamente più antica. Il Della Marra, ricavando la
notizia dalla cronaca dell'Anonimo del tempo di Manfredi, riferisce che i
messinesi ricevettero (8) Pietro I Conte di Catanzaro, di ritorno in
Messina, sventolando bandiere bianco/nere che erano e sono tuttora i colori di
Casa Ruffo. In linguaggio araldico l'arme dei Ruffo (arme è sinonimo di
scudo) si descrive così: "Diviso inchiavato d'argento e di nero.
Cimiero: testa e collo di cavallo nascente di nero". Il motto adottato
dalle varie Linee non è unico. Per i Ruffo di Calabria di Sinopoli-Scilla: Omnia
bene; Per la Linea di Bonneval-La Fare:
A mio avviso non sono tanto importanti le "definizioni araldiche", che
oggi creano facilmente
L'arma
comune a tutte le Linee di questo casato è quella qui riprodotta, se si tolgano
dallo scudo le tre conchiglie ed il cartiglio sottostante, che
distinguono i Ruffo di Calabria di " Primieramente debbono esprimersi nella descrizione dell'arme i colori e i metalli dello scudo e delle figure; secondo deve esprimersi la qualità delle figure e non confondere una figura con l'altra; terzo si deve esprimere il numero delle figure il quale serve spesso per distinguere le famiglie; quarto deve esprimersi nella descrizione delle armi la situazione delle figure, la quale anch'essa serve per la distinzione di molte famiglie. Blasonare significa, dunque, descrivere l'arme, lo scudo, i suoi smalti, le sue figure, gli accessori, nelle loro posizioni, nel loro numero, coi loro attributi e tutto ciò con i termini propri del linguaggio araldico e con l'osservanza delle norme che al blasone si riferiscono." |
E' linguaggio particolare, di difficile comprensione, che io stesso piú che
parlare balbetto appena.
Per "leggere" lo stemma di Casa Ruffo basta conoscere poche cose; i
due colori argento (metà
Le
conchiglie furono aggiunte nel 1253 quando (1) Fulcone Ruffo, sposando
Margherita di Pavia,
Il cimiero è comune a tutte le Linee e rami di Casa Ruffo, anche se nel corso
dei secoli lo troviamo
Il
cimiero fu aggiunto all'arme Ruffo nel corso del quarto decennio del XIII
secolo e dovette ottenere il placet di Federico II che, com'è noto, non era
molto tollerante nei confronti di eventuali iniziative assunte dai suoi
vassalli. Ecco, infine, l'origine e la motivazione del cimiero: lungo il
decennio 1240-1250 Giordano Ruffo (egli non figura nell'albero genealogico più
sopra riprodotto), capo delle scuderie imperiali (figlio cadetto di (8) Pietro I),
compose un trattato di medicina veterinaria, che piacque molto all'imperatore, anch'egli
studioso di scienze naturali. In quel trattato, per la prima volta, si dava non
soltanto base e contenuto scientifico alla medicina veterinaria, ma si
descriveva la tecnica attraverso la quale effettuare la ferratura degli zoccoli
del cavallo. Era un'acquisizione di enorme interesse, che aveva conseguenze
positive tanto militari quanto sulla maggiore sicurezza e rapidità di
comunicazione e di trasporto; infatti
"dava vita ad un nuovo cavallo capace di correre senza danno su qualsiasi terreno". In
tempi nei quali al termine di una battaglia, o dopo un lungo percorso su terreno
duro, molti cavalli erano inutilizzabili per la "spaccatura"
dello zoccolo, la ferratura assumeva le dimensioni di un evento assolutamente
straordinario ed innovativo. A celebrazione di tanto evento, l'Imperatore
concesse ai Ruffo di aggiungere alla propria arme un cimiero che, appunto,
rappresentava un "cavallo
nascente".
Qui di seguito riporterò l'Arme dei Ruffo Principi della
Scaletta che ha come cimiero un cavallo nascente (le zampe mal s'intravedono
attraverso i fioroni della corona), a proposito della quale - a maggior
dimostrazione delle difficoltà d'uso del linguaggio araldico - faccio notare
l'errore di averla effigiata senza le quattro perle visibili, (otto in
tutto, alternanti gli otto fioroni) così come deve essere quella di principe.
La corona riprodotta è quella di Duca ma, allora, non deve essere chiusa col velluto
di porpora del manto
a guisa di tocco cimato da una
nappa d'oro. Una nuova dimostrazione di quanto sia difficile l'uso del linguaggio araldico |
In occasione della conclusione del
secondo millennio, i Ruffo dei giorni nostri vollero ricordare mille anni di
storia del loro Casato coniando una medaglia, a celebrazione di tanta longevità.
Fu scelto, tra i molti scultori che si proposero, il bozzetto del prof. Rosario
La Seta, scultore dotato di grande sensibilità artistica, calabrese di Bruzzano
Zeffirio, contrada che fu per lunghi secoli infeudata ai Ruffo. La medaglia è
qui riprodotta: |
Io spero di essere riuscito a
sintetizzare la storia del Casato dei Ruffo senza creare eccessiva noia al
lettore. Per rendere completa la trattazione mi rimane di