b Capitolo II° a
Nell'archivio di Casa Ruffo di Calabria
- nell'aprile del 1947 affidato in custodia da Luigi Ruffo di Calabria, Duca di
Guardia Lombarda, all'Archivio di Stato di Napoli ‑ esiste una pergamena
(in copia) appartenente alla serie “ Privilegi ”. E' un privilegio di Re
Ruggero, scritto in greco con a fianco la traduzione latina, dell'aprile
dell'anno 1146, con il quale quel Re concedeva a Gervasio Ruffo, cadetto della
Casa di Calabria, le terre di “ Minzillicar e Chambucas, site nel tenimento di
Sciacca”.
Intanto riporto in traduzione quella parte del privilegio
che riguarda il discorso di cui sopra:
RUGGERO RE IN CRISTO DIO PIO E POTENTE
Nel mese di aprile della presente
indizione settima. Mentre siamo dimoranti
serenamente e per la gloria di Dio esercitiamo la nostra Potenza nella città di
Palermo ed a Dio piacendo abitiamo in questo stesso Palazzo nel quale viene
innanzi alla Nostra Maestà [Potenza] il fedele alleato [compagno] d'arme (fidelis
armorum socius) lo stratiota (stratiotes) Signore (Dominus) Gervasio Ruffo che
presenta domanda e supplica (postulans et supplicans) di avere [terre] non
soltanto per il pascolo dei suoi animali ma anche per la coltivazione (pro
aratio) perciò affinché abbia terre da coltivare tu ed i tuoi esperti (preceptores)
ti diamo nel tenimento di Sciacca terre sufficienti alle tue necessità. [.... ]
Re Ruggero, dunque, riportando la dignità militare
bizantina (Stratiota) di Gervasio Ruffo, certifica ‑ per così dire
‑ l'origine dei Ruffo e l'epoca del loro arrivo in Calabra. Definendolo,
poi, “ fidelis armorum socius ”, ci fornisce sicura notizia della potenza in quel tempo raggiunta dalla Famiglia Ruffo in Calabria.
Per completare l'argomento ‑ confidando nella
pazienza e nell'amore per la storia dei navigatori di Internet ‑ riporto
quanto scritto a tal proposito dal Duca Proto che, se non è di dilettevole
lettura, serve a render chiaro ed a sintetizzare un discorso altrimenti
lunghissimo e di ancor più noiosa lettura:
«Fu dunque in questi tempi ed in cotali infestossime
vicissitudini, circa l'anno millesimo di nostra Salute, che lo Imperatore di
Costantinopoli, avendo perduto, per invasioni di mori e di principi e conti di
stirpe longobarda, quasi tutti i suoi possedimenti nell'Italia, con il soccorso
dei Ruffi e dei Giuliani ricuperò la Calabria e la Apulia. Il maggior scrittore
di quei tempi ed il più autorevole per la veracità o verosimiglianza delle sue
narrazioni, Leone monaco di Montecasino, e comunemente detto Leone Ostiense, dal suo
cardinalato e vescovado di Ostia, nel secondo libro di quella sua istoria, che
per modestia egli intitolava Cronaca Cassinese, così discorre di tal fatto “sed
cum graecorum, qui paucis ante annis Apuliam sibi
Calabriamque, sociatis sibi Riffis atque Iulianis vendicaverunt
insolentiam, fastidiunque Appuri ferre non possent, una cum Melo ipso et
Dato, quidam equite nobilissimo Meli cognato, rebellare disponunt
”.
Quali che fossero questi Giuliani, che una con i Ruffo,
secondo Leone Ostiense, ridussero novellamente in fede dei Cesari Bizantini le
Provincie della Calabria e della Apulia, noi non sapremmo dire punto né poco.
Conciossiaché di essi Giuliani non si trovi memoria, né prima né dopo l'anno
millesimo, in quelle parti di Italia, e manco in quelle provincie che
l'affrontano. Indubitato è che essi, dove avessero fatto veramente ciò che il
Cardinale Ostiense narrava, dovevano essere altrettanto o di poco men che la
Famiglia Ruffo potentissimi in quella regione, e però avrebbero dovuto lasciar
di loro maggior memoria. Ma per avventura i Giuliani non sarebbero una seconda
diramazione dei Ruffi medesimi, come spesso rinvienesi in quei tempi, che
parecchi di un medesimo lignaggio venivano pur diversamente cognominati dal
volgo, e solevano anche scriversi più con il nome che loro era comunemente
dato, che con quello il quale avevano sortito per loro natal? Il cognome Iuliano,
non sarebbe un aggettivo dei Ruffi per la loro consanguineità con gli
Imperadori di Costantinopoli o pel discendere un ramo di essi da qualche signore
di Casa Ruffo chiamato Giulio o Giuliano? Altri decida così fatta questione:
noi lasciamo al benevolo lettore piena libertà di congetturare. Ma questo sì
vogliamo si noti che per avere i Ruffo ed i Giuliani, od essi Ruffo solamente,
soccorso gli Imperadori di Costantinopoli alla ricuperazione delle provincie
della Puglia e della Calabria, indubitato è essi dover essere stati allora
potentissimi, avere arme ed armati: ed arme ed armati non si ebbero a quei
tempi, né nei secoli posteriori, da altri, che da coloro i quali possedevano
tetre e castella. Erano dunque già nell'anno millesimo (se già non l'erano
stato in tempi più antichi, siccome crediamo aver chiaramente dimostrato)
potenti signori nelle Calabrie i Ruffo, prima dello stabilimento della Monarchia
delle Sicilie: e questo non può negarsi, né porsi in dubbio da veruno il quale
abbia fior di senno od anche vulgare intelletto. E vogliamo pure si ponga mente
alle parole, con le quali discorre del cennato fatto Leone Ostiense, dicendo
esso autorevolissimo istorico, che l'Imperatore di Costantinopoli recuperò il
dominio della Calabria e della Puglia sociatis sibi Ruffis atque Iulianis. La parola sociatis suona
nel volgare nostro eloquio alleato, confederato: e però bisognerà pur
convenire che la Famiglia Ruffo fosse sovrana nel mezzo giorno d'Italia, a quei
tempi, oppur vi facesse le parti di sovrana. Conciossiaché, se i principi di
essa fossero stati semplicemente baroni, non gli avrebbe chiamati come alleati
l'Imperatore di Costantinopoli, ma gli avrebbe spediti come capitani e vassalli
a combattere gli altri sudditi ribellati e riacquistar le provincie perdute.
Oltraché non possiamo tacere, come Giannone e tutti gli altri storici delle
nostre regioni, tutti convengano in questa sentenza, che gli Imperatori di
Costantinopoli avevan magistrati in Italia ma non baroni, che i Greci del basso
impero non conoscevano feudalesimo; e però, poiché terre e castella
indibitatamente possedevano i Ruffi nelle Calabrie, nell’anno millesimo e
prima di esso, indubitatamente pure queste terre e castella le tenevano come
assoluti padroni, come sovrani e non già come utile dominio, al par degli altri
conti e castaldi e baroni e valvassori eccetera, che per avventura si trovassero
allora in questa Italia Cistiberina. E questa nostra considerazione vuolsi bene
tenere a mente, perciocché essa verrà lussuosamente a spiegare quello
intitolarsi da sovrani che faceano, nei secoli posteriori al mille, i Ruffo
conti di Catanzarto, i quali nel loro diplomi usavano la formula Dei gratia
Comes: formula che indica chiarissimamente la sovranità, od almeno la
pretensione o presunzione di libero e diretto dominio e possedimento. E noi non
sappiamo qual altro signore del Regno avesse mai osato intitolarsi come facevano
i Conti di Catanzaro, e, dove ve ne fosse stato, sapremmo grado e grazie a colui
che volesse esser cortese di mostrarcene scrittura od altro monumento.
Giovanni Ritonio, nell'opera genealogica da noi citata più
volte, discorrendo dei Ruffi di quel tempo, scrive: Petrus Ruffus predicti Costantii
filius, sub principibus Northomandis (i
quali
veramente erano venuti nella meridionale Italia, ma non vi avevano ancora
signoria e dominio certo) contra Mauros in Italiam militavit. Ed
in ciò si accorda il Ritonio con Leone Ostiense, perciocché questo Pietro
Ruffo figliuol di Costanzo ben potrebbe essere stato esso il capo di quella
famiglia Ruffo, che gli Imperatori Costantinopolitani chiamarono in loro
soccorso, per ricuperare il dominio della Calabria e della Apulla, provincie che
allora dicevansi Italia, e tali erano veramente quasi esse sole, siccome
crediamo aver già detto sopra. Quindi, continuando, esso Ritonio disse: idcirco
ab hiis Comitatum Catanzari quorum praedecessorum a Mauris occupatum, ab
eo deiectis, illis, per eundem Petrum, auxliantibus praedictis principibus
Northomandis facillime optinuit. E ciò ben
poteva essere, perciocché i Normanni, in sul loro primo entrare in queste
nostre regioni, non facevan già la guerra per se medesimi, ma per altri
principi o repubbliche al quali ed alle quali talentasse valersi del loro
braccio e della loro singolare perizia nel governar le cose della guerra, laonde
Giovanni Ritonio preseguendo dice: Sic
etiam nonnulla alia castra in
Provincia Calabria Citra per Riccardum Ruffum
fratrem adepta sunt. De istis vero nati nonnu11is
i1lustribus homibus:
de Petro vero Furconus, Gerardus, Anotonius et Philippus.
De praedicto Gerardo Petri fratre, Ugo1inus, Rubertus, Henricus,
Gug1ie1mus, et Landulfus, omines baroni
va1orosissimi et multorun castrorum domini. Nunquam certe de hac Familia
Principes Ecclesiasticos antiquis temporibus imvenimus; eo quia fortasse,
epse sub militaribus ordinibus in servitio Orientatilium Imperatorum
vivisset, et postea Northomandorum contra Graecos in Italia pugnavisset,
prout textal Leo Cardinalis Hostiensi in sua Historia. E
qui il Ritonio si riporta alle parole medesime della Cronaca Cassinese, da
noi addotte in mezzo, poco innanzi ».
Così nel XIX secolo
scriveva il Duca Proto, al quale non era noto il privilegio di Re Ruggero II.
Avendo acquisito queste conoscenze è maturo il momento di discorrere della
genealogia del Casato dei Ruffo.
Credo di far cosa gradita ed utile ai “
navigatori ” di questo nuovo “
mare etereo” al quale, lo confesso, guardo con perplessità ed una certa
diffidenza. Ma io non faccio né meraviglia né opinione: sono rimasto cittadino
del passato millennio ‑ dicevo che credo di fare cosa gradita limitando le
notizie genealogiche al periodo storicamente documentato ed ai personaggi più
noti e indicativi. Alla fine, per i “naviganti ” più esigenti ed
appassionati, riporterò un albero genealogico lungo poco più di mille anni, ma
rigorosamente limitato alla Linea primogenita ed aggiungo che sarebbe mia
ambizione riuscire a fare qualcosa di diverso di un “
elenco del
telefono ”. Da ora in avanti, accanto al nome dei personaggi dei quali
scriverò, riporterò tra parentesi il numero che nell'albero genealogico li
distingue al fine di facilitarne l'individuazione.
Scorrendo quest'albero si noterà che del primo personaggio, Giovanni Fulcone e
fino al sesto, Pietro di Calabria Signore di Catanzaro, non si riportano i nomi
delle rispettive consorti, che non sono noti.
Il periodo storicamente documentato inizia con (7) Giordano, che nel 1186 sposò
Agnese sua consanguinea.
Il Loro figlio fu (8) Pietro I, portato dall'Imperatore Federico II ai più alti
gradi della gerarchia militare ed alle più importanti cariche di governo. Su
Pietro I gli storici ed i genealogisti fecero in ogni tempo una grande
confusione, ‑non avendolo distinto da
Anche il Pontieri non condusse personali ricerche genealogiche sui personaggi
dei quali scriveva, disponendo degli studi condotti da Francesco Scandone, il
quale non fu sempre preciso e, di conseguenza, creò alcune confusioni. Io ne
discuto lungamente nel mio scritto “ I Ruffo alla Corte di Federico II
” al quale rimando gli interessati (Lo scritto è presente nel sito www.sbti.org
).
(8) Pietro I fu politico avveduto, fedelissimo alla casa Hoenstaufen ed ai
voleri testamentari di Federico, anche quando Manfredi, figlio naturale del
defunto Imperatore, usurpò il Regno a suo nipote Corradino. Fu il più tenace
oppositore di Manfredi e, per ostacolare i suoi disegni d'usurpazione, lui
Ghibellino, cercò aiuto e si associò al Papa. Sconfitto, riparò a Terracina
nello stato della Chiesa, dove nel primi giorni di gennaio del 1257 morì
proditoriamente pugnalato da un sicario di Manfredi.
Suo Nipote, (10) Pietro II, fu descritto come uno dei maggiori generali del suo
tempo. Si scrisse che se il nipote avesse avuto l'acume politico dell'avo, e che
se questi avesse posseduto le stesse capacità militari del nipote, gli eventi
di quel tempo avrebbero avuto un corso diverso. Questo (10) Pietro II continuerà
la Linea primogenita dei Ruffo di Calabria, detta dei Conti di Catanzaro.
Altro nipote ex avo di (8) Pietro I fu (1) Fulcone Ruffo di Calabria
(1231‑1256?).
E' il capostipite e lo troviamo con il numero (1) nella Linea secondogenita, che
subentrerà a quella primogenita quando, per mancanza di eredi maschi, i Ruffo
di Catanzaro si estingueranno nei Centelles Ventimiglia nel corso della seconda
metà del XV secolo. Questo stesso (1) Fulcone è il capostipite di tutte le
Linee dei Ruffo, nostri contemporanei.
(1) Fulcone è anche conosciuto col nome di Folco o come il “
rimatore della
scuola poetica siciliana ”. Occorre brevemente parlare di lui che, nonostante
abbia avuto vita breve, fu uomo che lasciò traccia di sé perché fu
d'intelletto vivace e dotato di capacità militari da tutti ricordate.
E' indispensabile, per meglio far comprendere l'uomo (1)Fulcone, fare cenno alla
personalità dell'Imperatore e descrivere l'ambiente di corte, nel quale dall'età
di quattordici anni i valletti vivevano a stretto contatto con l’ Imperatore.
Nel ricordato mio articolo “ I Ruffo alla corte di Federico II ” così scrivo
dell'Imperatore e dell'ambiente di corte:
"
[....] Dalla madre gli fu dato il nome di Costantino ma, in baptismo, quel nome
fu mutato in Federico Ruggero: il nome dei suoi avi, il tedesco Barbarossa ed il
normanno Ruggero II. Imperatore e Re si chiamò Federico II. I suoi
contemporanei lo definirono "stupor mundi ", meraviglia del mondo, e
" immutator mirabilis ", meraviglioso trasformatore. Ma "stupor
mundi ", nel linguaggio di quei tempi, significava anche "sovvertimento
dell'ordine costituito, che genera paura e confusione "!
Giovanni Villani, cronista fiorentino (1280‑1348), nella sua "
Nuova
cronica " fece questo ritratto di Federico II di Svevia: " Questo
Federigo regnò trent'anni Imperadore, e fu uomo di grande affare e di gran
valore. Savio di scrittura, e di senno naturale, universale in tutte le cose.
Seppe la lingua latina, e la nostra volgare, tedesco e francese, greco e
saracinesco e di tutte virtudi copioso. Largo e cortese in donare, prode e savio
in arme, e fu molto temuto. E fu, dissoluto in lussuria in più guise e tenea
molte concubine e mammalucchi a guisa de' saracini. In tutti i diletti corporali
volle abbondare, quasi vita epicurea tenne, non facendo conto che mai fosse
altra vita. E questa fu l'una principale cagione perché venne nemico de'
chierici e di Santa Chiesa ".
E' un ritratto vagamente somigliante al personaggio reale, che risente
chiaramente di varie influenze: clima politico degli anni che seguirono ai
vespri siciliani; le fonti alle quali l'ex mercante fiorentino, diventato
cronista, si ispirò. Più vera ed in maggiore accordo con quanto scrissero
molti autori, alcuni contemporanei dell'imperatore, è la descrizione che diede
fra Simone da Parma (1221‑1287), il quale conobbe di persona Federico II:
" Era un uomo scaltro, avaro, lussurioso, collerico e malvagio. Di tanto in
tanto tuttavia rivelava anche buone qualità, quando era intenzionato a fare
mostra della sua benevolenza e liberalità: sapeva allora essere amabile,
gentile, pieno di grazia ed esternava nobili sentimenti. Leggeva, scriveva,
cantava e componeva melodie. Era bello e ben fatto, sebbene di non alta statura.
Io una volta lo conobbi e per un certo tempo anche lo onorai ".
La lettura della cronaca di questo monaco, giunta sino a noi forse autografa, ed
il ritratto che fa dell'Imperatore, mi fanno però venire in mente che egli, nel
1247, fuggì da Parma, assediata da Federico, per esulare in Francia in cerca di
soccorso.
Ancora più completa e storicamente più veritiera è la descrizione che di
Federico II fece Michele Amari ne " La guerra del vespro siciliano ": " [...] pro' nelle armi, sagace e grande nei consigli, promotor delle
scienze e delle lettere italiane, costante nemico di Roma. Raffrenò Federigo i
feudatari, che nella fanciullezza sua si eran prevalsi; chiamò nei parlamenti
nostri i sindichi delle città; represse nondimeno gli umori di repubblica;
riordinò vigorosamente i magistrati; vietò, primo in Europa, i giudizi
ch'empiamente chiamavan di Dio; dettò un corpo di leggi, ristorando o
correggendo quelle dei Normanni; le entrate dello stato ingrossò, e troppo.
Macchiano la sua gloria, severità e avarizia nel governo; e mal ne lo scolpa la
necessità di tender fortissimo i nerbi del principato, per aiutarsene alla
guerra di fuori ".
A distanza di sette secoli una considerazione, può fare cornice a quanto
scritto, in tutto questo tempo, su Federico II ‑e sugli Hoenstaufen in
genere; un Papa creò Federico Imperatore e Re: Innocenzo III, grande Pontefice ed accorto uomo di stato. Un altro Papa,
poco dopo la morte dell'Imperatore, la dinastia degli Hoenstaufen letteralmente
distrusse: Urbano IV, al secolo il francese Jacques Pantaleon, scialba figura di
nessun rilievo nella storia della Chiesa.
Questo fu essenzialmente Federico II e tanto uomo non poteva che avere attorno a
se una corte altrettanto grande e meravigliosa. Per alcuni suoi aspetti, la
decantò anche Brunetto Latini, che ebbe modo di frequentarla. Una corte da
Mentre presso la cancelleria imperiale, vera scuola di " ars
dictandi ", la vita letteraria di corte aveva il suo cenacolo, attorno e
direttamente a contatto con
Presso questa corte, dove trionfava la cultura laica, che trovava per la prima
A corte vissero tra gli altri alcuni membri del casato dei Ruffo che, per
Tra questi Ruffo vi fu
(1) Fulcone, figlio di (9) Ruggero di Calabria e Belladama e dunque fratello di
(10) Pietro II e nipote ex avo di (8) Pietro I. Traggo sempre dal citato mio
scritto, altre notizie su Fulcone e sulla vita a corte dei valletti:
“[…]
Com'ra uso presso quella corte, Fulcone iniziò la carriera come valletto
imperiale a 14 anni, ossia intorno al 1243. Dovette essere dotato di particolare
ingegno e di non comune capacità d'apprendimento se ancora giovanissimo lo
troviamo, non ultimo, tra i rimatori di quella scuola. Furono certamente queste
qualità che richiamarono su di lui l'attenzione e l'affetto di Federico II, che
lo volle accanto a sé sino all'ultimo suo giorno di vita. Addirittura, poche
settimane prima della morte dell'Imperatore, ebbe da questi, alcuni possedimenti
in feudo, che erano appartenuti al filosofo di corte maestro Teodoro (da
documenti d'archivio, invece, risulta che quell' investitura risale al 1247). A
conti fatti quando morì l'imperatore Fulcone Ruffo non doveva avere ancora 20
anni.
Francesco
Torraca, nella sua opera " Studi su la lirica italiana del duecento "
Somiglia,
per l'una cosa e per l'altra, ad Arrigo Testa. Nipote di Pietro Ruffo conte di
Catanzaro, cugino o fratello del cavaliere Giordano Ruffo autore del " liber
mascalciae ", assistette agli ultimi istanti del grande Imperatore, del
quale firmò il testamento ".
Penso valga la pena soffermarmi a descrivere l'ambiente di corte, nel quale
vivevano e maturavano esperienze di vita e di dottrina i valletti imperiali.
Nella scelta dei valletti o dei funzionari Federico II non dava importanza alla
loro nascita, alla provenienza sociale o al colore della pelle, ma molto
contavano le doti e le qualità personali. Un esempio per tutti: Giovanni Moro,
figlio di una schiava, saracena, ebbe a corte una posizione di rilievo, fece
parte della " familia " e ricevette una baronia. Per quanto concerneva i
valletti, numerosissimi erano tra questi i rampolli della nobiltà cavalleresca,
ma anche sulla loro carriera era ininfluente la potenza o la ricchezza della
famiglia dalla quale provenivano. I valletti (tra questi vi erano anche i figli
di Federico II) vivevano a diretto contatto con l'Imperatore e ricevevano una
educazione cortese‑cavalleresca ‑ a noi resa nota dalla poesia di
quel tempo unitamente a quegli insegnamenti che, da adulti, avrebbero fatto di
questi adolescenti dei perfetti funzionari statali. La presenza di un gran
numero di nobili tra i valletti trova spiegazione in una particolare
circostanza: un nobile non poteva diventare cavaliere se prima non avesse
servito come valletto. Dunque i rampolli della nobiltà regnicola passavano a
corte gli anni della giovinezza e, come valletti, entrando a far parte della
" familia ", ricevevano un mensile di sei once d'oro ed il diritto di
avere al servizio tre scudieri con relativi cavalli. I valletti rappresentavano
il gradino più basso della gerarchia cavalleresca ed avevano a capo un
siniscalco. Non avevano mansioni precise: erano destinati in particolare a
servizi di " tipo cavalleresco ". I valletti cessavano il servizio a
corte quando si fossero guadagnato il cingolo cavalleresco. Andavano allora a
ricoprire, ancor giovani, cariche amministrative importanti o servivano
nell'esercito o ritornavano nei loro feudi. Altri erano avviati agli studi
universitari. In ogni caso l'essere stati partecipi della vita di corte dava
loro un grande prestigio ed apriva molte carriere. Al padre di un valletto
scrisse una volta l'Imperatore: " Noi abbiamo accumulato su di lui i
rudimenti delle virtú, affinché si sentisse degno di se, agli altri utile e a
noi fruttuoso ".
In tale ambiente fu educato Fulcone Ruffo. Non fa dunque
meraviglia che, forse neppure diciottenne, fosse annoverato tra i più
apprezzati rimatori e ricevesse ancora in giovanissima età direttamente
dall'Imperatore l'investitura di cavaliere e la titolarità di feudi.
Trovano
legittimazione anche gli incarichi importantissimi‑ che Fulcone ebbe negli
anni 1251‑52 quando in Istria firmò come testimone concessioni imperiali
ed attese a ricevere il novello Imperatore Corrado IV. Nel 1254 fu, dal suo avo
Pietro I, posto a capo degli ambasciatori inviati al Papa.
Come soldato fu lodato persino dall'Anonimo ‑ cronista denigratore del
casato dei Ruffo ‑ quando sotto le mura di Aidone fermò l'impeto di
quell'esercito, che stava per travolgere le truppe al comando del suo avo. E lo
stesso Anonimo non seppe trovare che espressioni di rispetto quando narrò di
Fulcone che, arroccato nei suoi castelli di Bovalino e Santa Cristina, tenne
testa per quasi due anni all'esercito di Manfredi.
Nel 1253 Fulcone sposò Margherita di Pavia, figlia di Messer Carnelevario,
dalla quale ebbe i figli Enrico e Fulco II. Non si conoscono la data e la causa
della sua morte, ma nel 1266 certamente non era più in vita [...]
Temo
d'avere scritto un po' troppo su Fulcone, ma il personaggio lo richiedeva.
Suo fratello (10) Pietro II, al quale ho più sopra fatto cenno, nel 1266 fu da
Carlo I d'Angiò reintegrato nei feudi e nel titolo di Conte di Conte di
Catanzaro, posseduti dal suo avo (8) Pietro I. Sposò una dama di gran Casato,
Giovanna d'Aquino, dalla quale ebbe sei figli. (11) Giovanni continuò la Linea
primogenita, mentre un altro figlio di nome Giordano dette vita al ramo dei
Conti di Montalto, che tanto lustro ebbe nel secoli seguenti.
La Linea dei Conti di Catanzaro Marchesi di Cotrone si estinse con (15)
Enrichetta nei Centelles Ventirniglia, nella seconda metà del secolo XV.
Questa Eririchetta era figlia di (14) Nicolò, del quale darò notizie
nell'albero genealogico.