b   Capitolo I°  a 

 

         La famiglia Ruffo, secondo le fonti più antiche, trae la propria origine dalla famiglia Rufa di Roma, discendente da quella CORNELIA. Molti storiografi e genealogisti, vissuti nei secoli scorsi, hanno scritto della discendenza di questa famiglia. Ne scrive Giovanni Ritonio nella sua opera “ Texera omnium familiarum nobilium Italiae ”, edita a Valenza nel 1484, nella quale asserisce al tempo dell’imperatrice Jole – figlia di Giovanni Fulcone Ruffo (nelle cronache dell’epoca si trova un altro Giovanni Falcone padre di un’altra Imperatrice, che ebbe nome Berenice) e moglie dell’imperatore Andronico Giovanni Comneno “haec famiglia quinqaginta principes abuit et cum eis magnam multitudinem discendentium ad numerum termilium”. A tale proposito credo utile annotare che al tempo di quell’Imperatore i Ruffo erano già da secoli presenti e potenti in Calabria, come sarà documentato nel II° capitolo.
   
Leone Morsicano (1046-1117), Cardinale  e Vescovo di Ostia – meglio conosciuto con nome di Leone Ostiense – che scrisse la sua “Cronaca Cassinese” tra il 1086 ed 1105, nel II° tomo afferma che Filippo ed Enrico Ruffo combattevano a favore dei Normanni anche contro i Greci, e che nel 1071 ricevettero nei loro feudi come alleato Roberto Guiscardo e lo aiutarono a conquistare Terra d’Otranto e la Basilicata. Questi due fratelli si trovano indicati anche col predicato di Catanzaro.
   
Ne scrisse anche frate Simone da Lentini, vissuto al tempo del  regno Primo Angiò, ossia nella seconda metà del 1200. Scrisse frate Simone: “ Rufa, mobilissima et vetustissima familia tempore romanae republicae magnopere vixit et usque ad meum tempus potentissima vixit (vivit?) ”.
   
Il conte Bernarda Candida Gonzaga, da tutti considerato uno dei maggiori genealogisti, nel volume quinto della sua opera “ Memoria delle famiglie nobili delle province meridionali d’Italia ”, così scrive della famiglia Ruffo:
Le opinioni circa l’origini di questa Casa, ricordata dagli scrittori col titolo di Grande Casa, sono infondate o contrarie ai documenti.
Il Contarino la disse venuta da Francia con Carlo I° d’Angiò, mentre trovasi Pietro Ruffo essere potente signore in Calabria prima della venuta dei Normanni: fu egli poi il Conte di Catanzaro e s’intitolava < Dei gratia Comis Catanzarii>. Ed in quell’epoca la casa Ruffo si vede aver raggiunto l’apice della sua potenza, tanto che verso l’anno 1014 prestò il suo valevole aiuto all’imperatore greco  nella riconquista che questo fece delle Calabrie e delle Puglie contro i Saraceni, che se ne erano impossessati. Il Gamurrini vuole che traesse la sua origine da Assisi e che passata in Roma si fosse poi diramata in varie città d’Italia. Altri la credono Longobarda. La maggior parte degli autori però la dice originaria dalla gente Rufa di Roma, discesa dalla Cornelia
”.
   
Per dovere di completezza citerò i nomi di alcuni altri storici e genealogisti che scrissero sullo stesso argomento; Geronimo Enningens di Luneburgo nel suo “ Teatro genealogico ”, a Tamusio Tinga ho già accennato, Valerio Anziate, nel “ De proheminentia Romanae Reipublicae ”, Ubbone Emmio genealogista Olandese, Ferrante Della Marra nel “ Discorsi delle famiglie nobili…. ”, Ugone Falcando nella “ Historia de rebus gestis  in Siciliae Regno ”, Imhoff in “ Genealogia viginti Illustrium in Italia Familiarum….”, Filadelfo Mugnos in “ Teatro genealogico delle famiglie illustri ”.
   
Per ultimo, cito l’autore, tra quello più vicino al nostro tempo, che da Anonimo Scrisse “ Istoria della casa dei Ruffo ”, edita a Napoli nel 1873 presso la “ Tipografia nel Reale albergo dei poveri ”. Tutti, però, conoscono il nome di questo anonimo autore: Francesco Proto duca di Maddalone. Di lui mi sembra utile riportare non le notizie storico genealogiche – che fanno discendere il casato dei Ruffo dal patriziato romano – ma la sua introduzione alla lettura del libro, nella quale chiarisce il concetto di “ nobiltà perfetta ”, ossia il significato che in genealogia si attribuisce alla definizione “ Famiglia di antica nobiltà ”. Stimo che aiuterà il lettore a meglio comprendere il “ linguaggio genealogico ” in uso del passato, se io dovessi cadere nell’errore di farne ricorso nelle pagine seguenti.
   
Il Proto così introduce il suo libro: “ Come ognun sa, famiglia è un ordine di discendenza, il quale, traendo principio da una persona, ed ampliandosi nei figlioli e dai figlioli ai nipoti, e così, per conseguente, dai nipoti ai pronipoti, costituisce una gente, siccome dicevano gli antichi o, per dire più chiaramente, un parentado, che dalla chiarezza delle cose fatte, o dalle ricchezze lungamente possedute, o dalle terre per alcuna età signoreggiate, o dalla antichità dei maggiori,è detto nobile. E questa voce nobile, come vuolsi ben ricordare, deriva dalla voce NOSCO, quasi dir voglia noscibile, cioè conosciuto o da conoscersi. La onde i Latini usarono prender questa voce, avendo riguardo alla sua primiera origine, così per quello, che noi volgarmente diciamo nobile per conto del lignaggio, come per ogni qualunque cosa, la quale fosse molto conosciuta e famosa, avvegnacchè rea e cattiva. Due adunque sono le cose principali, se ben si pon mente, le quali hanno ad intervenire per far perfetta una nobiltà: e queste sono l’antichità e lo splendore… ”
   
Ma io sto scrivendo per il “ navigatore di Internet ”, solitamente di età giovanile e nutrito di cultura moderna, considerazione che mi suggerisce di dare una definizione attuale del concetto di “ nobiltà perfetta ” e di “ antica famiglia nobile ” per ben mostrare, contrapponendoli, l’antico ed il nuovo significato.
   
Claudio Donati dell’ Università di Milano scrive: “ In senso più specifico e in concessione alla storia europea dall’antichità all’età moderna, col termine di nobiltà si intende una particolare condizione giuridica e sociale, legata al possesso spesso ereditario di onori e privilegi esclusivi, e per estensione gli insiemi degli individui, delle famiglie dei “ corpi ”  dotati di tale status privilegiato ”.
   
Per meglio far comprendere la prassi che, nei tempi che furono, regolava la vita e la sopravvivenza di una famiglia feudale, sopravvivenza legata al tramandarsi “ di onori e privilegi esclusivi ” da una generazione all’altra, dirò che in tali famiglie vigevano delle “ regole ” particolari.
   
In una famiglia feudale erano considerati “ primogeniti ” i primi due nati maschi. Se dal matrimonio del fratello più anziano nascevano soltanto figlie femmine, la prima di queste nate avrebbe sposato il cugino, ossia il figlio più anziano del fratello di suo padre. Si sarebbe così evitata l’estinzione della linea maschile del Casato.
   
L’eredità feudale e quella allodiale (ossia la proprietà libera da vincoli feudali) erano trasmesse al discendente attraverso l’Istituto del “ fedecommesso ” associato all’altro del maggiorascato ossia della primogenitura (al secondo figlio spettava un “ assegno di militanza ” che gli assicurava una rendita vitalizia). Questi, cominciando dalla seconda metà del cinquecento, erano gli istituti giuridici di trasmissione ereditaria (anche in perpetuum) dei patrimoni nobiliari, che consentivano la trasmissione dei beni familiari indivisi al primogenito maschio. Come conseguenza derivava l’inferiorità sociale, giuridica ed economica dei figli cadetti (i più giovani) e di tutte le figlie femmine. I cadetti avevano diverse possibilità: la carriera militare, quella in ordini cavallereschi, l’ingresso negli ordini religiosi o nelle fila del clero secolare. Anche le figlie femmine, alle quali eventualmente non era stata destinata una dote matrimoniale, molto onerosa per la famiglia, avevano una “ dote monacale ”, meno onerosa. Attraverso tale dote le fanciulle entravano in Ordini religiosi di prestigio e quasi sempre raggiungevano le più alte dignità dell’Ordine (e questo come è intuibile, aumentava “ l’influenza della famiglia ”).
   
Fu inevitabile che si creasse tra nobiltà feudale e mondo ecclesiastico una particolare intesa dalla quale nacque l’istituto giuridico definito “ giuspatronato laicale ”.
   
Di questo Istituto così scrive il Donati: “ In tal modo la fondazione  di un giuspadronato rappresentava per una famiglia nobile un vero e proprio investimento economico di lungo periodo, perché consentiva il mantenimento dignitoso di un maschio della famiglia per più generazioni; si potrebbe dire, in conclusione, che un beneficio di giuspadronato laicale era una specie di fedecommesso a favore dei figli cadetti ”. Mi resta soltanto da precisare che i “ patrimoni nobiliari ” erano costituiti essenzialmente dalla proprietà terriera. L’eventuale lucro derivante da attività commerciali, industriali o finanziarie serviva ad accrescere il patrimonio allodiale comprando nuove terre.
   
Nel regno di Napoli l’Istituto feudale fu abolito dalle leggi eversive di Gioacchino Murat intorno al 1810/12. Negli altri stati della Penisola ciò era avvenuto prima. Oggi il concetto di nobiltà, ove si voglia far ricorso per definire il comportamento di un determinato cittadino, non può che essere legato alle personali qualità dell’individuo, piuttosto che ai suoi natali.
   
Credo opportuno ora riportare qualche breve notizia sul nome RUFFO.
Il nome ebbe origine nell’aggettivo latino Rufus, Rufa, Rufum che si traduce in italiano nell’aggettivo ruffo, ossia rosso fulvo o rosso volpe. Il cognome Ruffo, dunque, fu dapprima un soprannome e come tale un aggettivo. I cognomi romani, infatti,presero origine da soprannomi dati ad individui sia per le loro qualità caratteristiche, o per virtù speciali, o per qualche azione degna di nota, o per servizi resi alla Repubblica, o ancora per difetti fisici etc… Con il tempo, l’aggettivo originario divenne cognome e, come tale, fu tramandato ai discendenti. Il primo Ruffo, con molta verosimiglianza, ebbe capigliatura rossiccia o, se si preferisce fulva.
    Sull’origine dei cognomi si potrebbe disquisire a lungo e sarebbe anche d’interesse genealogico e di un poco anche storico; infatti abbiamo visto che per questa disciplina la nobiltà perfetta è strettamente legata all’antichità del Casato, oltre che al suo splendore.
   
Ai Ruffo furono attribuite, oltre a quelle dal patriziato romano, anche origini normanne, longobarde ed addirittura francesi. Fu un errore nel quale caddero anche valenti storici contemporanei e ciò si spiega facilmente: gli storici, che io sappia, non hanno personalmente condotto indagini genealogiche, e nei loro scritti fecero sempre riferimento a quanto riferito da terzi. Occorrerebbe, invece, che gli storici tenessero in giusto conto l’importanza della genealogia, che dopo la geografia, la cronologia e la diplomatica è della storia la disciplina ausiliare più utile.
   
Stimo che abbia scritto già abbastanza delle varie teorie sull’origine di questo Casato. Si potrebbe scrivere molto di più, e non sarebbe privo d’interesse – nel dattiloscritto inedito ne parlo in poco più di cinquanta pagine – ma sarebbe certamente noioso per chi non avesse interesse specifico.
   
Veniamo adesso all’appellativo MAGMA DOMUS ed al predicato DI CALABRIA nei secoli goduto da questa famiglia.
Giovanni Ritonio ritenne che dai tempi in cui la famiglia Ruffo dominava in Calabria all’epoca greco - bizantina (e dunque precedente all’arrivo dei Normanni), essa fu chiamata Magna Domus. Anche su questo non ci fu accordo. E’ certo, però, che la Casa Ruffo fu chiamata Magna Domus appena entrò in uso quel titolo. In ogni modo godeva già quell’appellativo nel secolo XIII, come si può rilevare da diplomi e scritture di quel tempo. Ne ha scritto il già citato Fra Simone da Lentini Vescovo di Siracusa. Nel XVI secolo ne scrisse anche l’Ammirato, affermando che la famiglia Ruffo si era resa illustrissima fin dal tempo dei Greci per l’aiuto a loro prestato per la riconquista della Calabria e della Puglia ed il Summonte, scrivendo della stessa famiglia, affermò che “ era stata ed era grande nel Regno sì per il dominio ch’ella aveva tenuto di molte castella in Calabria, come anche per la sua grandissima antichità ”. Lo abbiamo letto anche nella cronaca del cardinale Leone Ostiense. 
    Per accontentare i più esigenti riporterò un’altra affermazione del Summonte: “ La Casa Ruffo fu annoverata tra le sette più antiche famiglie superiori del regno di Napoli ” che, elencandole in ordine alfabetico erano  “Acquaviva, Celano, Evoli, Marzano, Molise, Ruffo, Sanseverino ”. Estintesi le Case Evoli, Marzano e Molise furono sostituite da quelle di Aquino, Del Balzo e Piccolomini. Infine anche Alessandro Dumas volle dire la sua scrivendo: “…vi è un proverbio italiano che dice, per accennare ai principi della nobiltà nei vari paesi, gli Apostoli a Venezia, i Borbone in Francia, i Colonna a Roma, i Sanseverino a Napoli, i Ruffo in Calabria ”. Le stesse cose si possono affermare per il predicato di Calabria, che troviamo accanto al nome dei vari personaggi del Casato in documenti riguardanti i Ruffo vissuti nel primo secolo del secondo millennio.
   
Per dovere di completezza occorre soffermarsi ancora su due altre “ evenienze ”, l’epoca della concessione ai Ruffo del titolo di Conte di Catanzaro – titolo certamente goduto da Pietro I nel 1250 – e della tradizione familiare a firmarsi Dei Gratia Comes Catanzari. Pur essendo argomento di scarso rilievo storico, in passato ci fu discordanza di giudizio non tanto tra gli storici quanto tra gli studiosi di “cose nobiliari”. Alcuni scrissero che, Pietro I fu fatto Conte da Corrado IV nel 1252, altri da Carlo I d’Angiò nel 1265, ed altri ancora che un Pietro di quel casato lo era già in epoca normanna. Oggi si può affermare che avevano tutti ragione. Pietro I Ruffo di Calabria fu investito di quel titolo nel 1252 dall’imperatore Corrado IV (forse non a torto, alcuni affermano che si trattò di conferma e non di investitura), lo stesso Pietro fu riconfermato nel titolo dal Pontefice Innocenzo IV nell’ottobre del 1254 ed, infine, suo nipote (ex avo. I due Pietro furono a lungo identificati in un unico personaggio dalla vita assurdamente lunga) Pietro II fu investito della Contea di Catanzaro da Carlo I d’Angiò nel 1265. Un altro Pietro Ruffo, che fu elevato alla Porpora Cardinalizia da Papa Gelasio II nel 1118, era detto di Catanzaro. Considerato lo scarso interesse storico che l’argomento riveste, basta fare una semplice considerazione che, se non servirà a farci risalire con certezza all’epoca di concessione, potrà portarci a conclusione molto verosimile: I Ruffo usarono la formula “ Del Gratia Comes Catanzari ” quantomeno nei loro privilegi risalenti ad epoca Fridericiana e del primo Angiò, come si può leggere in molti documenti d’archivio. In documenti del 1250/52 usarono anche la formula “ Dei et Regia gratia ”. Se non avessero avuto alcun diritto di farlo, avrebbero quei sovrani convalidato i privilegi dei Ruffo nei quali,  come Conti di Catanzaro essi non si dichiaravano vassalli reali? Tanto basta a dar ragione a coloro che fanno risalire quel titolo ad epoca normanna o, addirittura, ad epoca anteriore. I bizantini non avevano nel loro ordinamento dello Stato il feudo ed i titoli nobiliari, tuttavia nei loro domini di Calabria e Puglia – spesso occupati con le armi dai Saraceni – nelle famiglie dominanti era invalsa l’usanza di imitare i Longobardi e così, quando il cavaliere di un Casato riconquistava con le proprie forze le terre occupate dai Mori, si dichiarava Conte o Duca per Grazia di Dio, formula attraverso la quale affermava il diretto, assoluto dominio su quella terra avuta per diritto di conquista. Evidentemente questo avveniva in epoca di decadimento delle armi Bizantine. I Ruffo, infatti, negli anni che vanno dal 1086 al 1105 combatterono assieme ai Normanni tanto i Greci quanto i Mori.
   
Per chiudere il capitolo resta soltanto da accettare quando e da dove i Ruffo arrivarono in Calabria. Su tale argomento si scrissero interi volumi, in passato, di tanta noiosa lettura e così pieni di cavilli da consigliarmi di fare soltanto un accenno. I Ruffo erano arrivati a Costantinopoli da Roma, al tempo di Costantino il Grande. In Calabria arrivano nel corso del ventennio 870/890 (per qualcuno verso il 979) con un Giovanni Fulcone – discendente di Marco Antonio Ruffo generale dell’imperatore Giustiniano II – la cui figlia Benerice era andata sposa all’imperatore Basilio II (per altri Basilio I). Questo Giovanni Falcone (abbiamo già incontrato un altro Ruffo di tale nome), governatore della Calabria Citra ed Ultra, liberò quella provincia dal dominio Saraceno. E’ superfluo aggiungere altro su tale argomento, poiché pubblicherò un privilegio di Ruggero II, primo Re Normanno, datato Palermo aprile 1146 nel cui contesto si legge tanto da dove arrivarono i Ruffo in Calabria quanto della loro potenza militare nella Calabria di quel tempo. Basterà a mettere – per così dire – un punto fermo alle discussioni sulla discendenza dei Ruffo dal patriziato di Roma, sulla qualifica di “ Magna Domus ”, sull’appellativo “ di Calabria ”, ed infine sul “ Dei Gratia ” e sul “ Dei et Regia Gratia” , usato nei secoli dai cavalieri di quel sangue?


                                                                                            torna a   Note riassuntive sulla famiglia Ruffo di Calabria