IGINO MENCARELLI

FULCO RUFFO DI CALABRIA
(18 – 8- 1884   -  23 – 8 - 1946)

AERONAUTICA MILITARE  - UFFICIO STORICO - 1970

 

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Fra le avventurose vicende di cui è intessuta la vita di guerra di Fulco Ruffo di Calabria, il grande pilota da caccia della prima guerra mondiale, la meno nota e comunque la più singolare è certamente quella narrata dallo stesso protagonista, in un « numero unico» Pubblicato nel 1937 sotto l’auspicio dell'Associazione dell'Arma di Cavalleria (Sezione di Milano).
    La vicenda risaliva a circa venti anni prima, quando Ruffo di Calabria apparteneva alla 91ª Squadriglia da Caccia comandata da Francesco Baracca.
   
« Mi ricordo che Baracca ‑ racconta dunque l'aviatore ‑ era partito in volo prima di me, ed io qualche minuto dopo, ma in due direzioni oppo­ste, come usavamo. Dopo mezz'ora di volo, troppe erano le nubi, e poca la visibilità. Stavo per tornarmene al campo quando, improvvisamente, scorsi lontano, fra una nube e l'altra, un apparecchio nemico. Ecco la preda ‑ pensai ‑ adesso cercherò di non farmi vedere e di tenerlo d'occhio in maniera che quando entra nel nostro territorio gli volo addosso, e gli tolgo il vizio di dar noia alla fanteria, o di curiosare nelle cose di casa nostra. Mi tenevo sulle nostre linee e qualche volta mi Spingevo SU quelle austriache, con la speranza che l'avversario, non disturbato da me, si spingesse lui nel nostro territorio, per poi assalirlo e abbatterlo, come avevo fatto tante altre volte.
    « La manovra durava da più di mezz'ora, ma, con  mia grande dispera­zione, l'apparecchio che cercavo di tener d'occhio, compariva e scompariva continuamente in lontananza, fra le nuvole, e non si decideva mai ad entrare nel nostro territorio: si manteneva anzi sulle linee di confine e quando io l'avvicinavo, lui se ne andava verso il territorio austriaco. Intanto pensavo: “Vigliacco, mi hai visto e finché son qua non verrai dalle nostre parti!”.
   
« Passò mezz'ora, ma il mio avversario non cambiò tattica, anzi ... fa­ceva proprio quello che facevo io: la sentinella sul confine, lontano da me. Passarono ancora vari minuti di lunga attesa e finalmente, come ombra, tra la nebbia, rividi quella che poteva essere la mia vittima di quel giorno. Cercai di avvicinarlo e con somma gioia mi accorsi che anche lui voleva attaccarmi. Più di una volta ci passammo non troppo lontano l'uno l'altro, ma  senza ve­derci bene e senza poterci puntare nel cannocchiale, perchè le nubi ci avvol­gevano e ci separavano. Il mio cuore batteva forte, la mia gioia era grande perchè l'avversario mi aveva visto, e come me, cercava battaglia ... era uno che non fuggiva!
   
« Continuavo a pulire il vetro del collimatore, reso opaco dalla nebbia, più volte avevo messo l'occhio al cannocchiale, il dito sul grilletto della mi­tragliatrice; la visibilità era troppo scarsa, le nubi troppo spesse, ed appena ci scorgevamo nella foschia, subito ci perdevamo nuovamente ... d'un tratto eccolo, esce da una nube ... lo vedo e non lo vedo ... l'austriaco punta contro di me ... sta per sparare indubbiamente, metto l'occhio al collima­tore ... vedo e non vedo ... la raffica della mia mitragliatrice parte e l'appa­recchio mi viene quasi addosso delineando, chiara, la sua sagoma a venti vetri da me! ... Credetti di impazzire! Pensai di suicidarmi! Passandomi accanto avevo scorto sull'apparecchio il Cavallino Rampante di Baracca. Pic­chiai a tutto motore verso il campo nella speranza che le ali mi partissero e non mi voltai terrorizzato di vedere forse in fiamme l'apparecchio contro il quale avevo sparato ... che non era austriaco, ma italianissimo.
   
« Giunto al campo Dio volle punirmi ancor più della colpa commessa: il megafono dei telefonisti annunciava che un apparecchio era precipitato in fiamme sull'altopiano di Asiago ... Credetti d'impazzire! Uscito dalla car­linga, rimasi seduto in terra con la testa fra le mani, tremando ... avevo ucciso il mio compagno, il mio maestro, l'idolo di ogni cuore italiano: Francesco Baracca! ».
    E più oltre Ruffo di Calabria dice: « Ma il destino non voleva così, e Baracca quel giorno tornò al campo. Quando lo vidi non credevo ai miei occhi, non ebbi la forza di andargli incontro, e fu Lui che, dopo aver parlato di cose indifferenti con altre persone, si avvicinò a me.
       
‑ Buon giorno Baracca ‑ gli dissi ‑ hai visto qualcosa?
        ‑ No ‑ mi rispose.
        ‑ Ma come! ... non hai visto neanche un apparecchio austriaco?
        ‑ No.
        ‑ Non hai incontrato neanche un apparecchio nostro?
        ‑ No.
        ‑ Ma pensa bene ‑ insistevo ‑ non hai visto proprio nulla, non hai udito nulla?
        ‑ Nulla.
   
« Ero dunque veramente impazzito?
    « Oggi, dopo tanti anni, rivedo il caro volto di Francesco Baracca sor­ridermi, finalmente, lieto di scherzare, e sento ancora la sua voce, naturale come sempre, dirmi con tranquillità:
        ‑ Caro Fulco, un'altra volta se mi vuoi buttar giù, tira un paio di metri più a destra ... e adesso andiamo a bere, e non ne parliamo più.
    « Mi raccontò più tardi che anch'egli aveva scambiato, per un momento, il mio per un apparecchio austriaco, ed aveva fatto le stesse manovre che avevo fatto io. Alla fine “come me” aveva deciso di attaccare a qualunque costo il nemico ... solamente, all'ultimo momento, Lui, più calmo di me, si era accorto dell'errore, e non mi aveva sparato! ».

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Un abbaglio del genere (in cui del resto era incorso lo stesso Baracca) era allora del tutto giustificato, per diversi motivi, quali la somiglianza strut­turale dei velivoli da caccia italiani e austriaci, l'impossibilità di distinguere, sotto determinate angolazioni, i contrassegni di nazionalità dipinti sui piani alari e sul timone di direzione. Possiamo anche aggiungere il disagio in cui volavano i piloti da caccia, annidati com'erano entro angusti abitacoli, da cui la visibilità, specie nel settore antistante, era limitata dalla stessa architettura delle macchine (cellule biplane, con montanti e crociere). Non va dimenticato infine che i piloti affrontavano allora le alte quote, senza combinazioni elettroriscaldate, senza respiratori di ossigeno, e avvertivano quindi i noti sintomi dell’anossia: senso di torpore, riflessi più lenti, restringimento del campo visivo, ed altri disturbi che menomavano la loro efficienza fisica, non meno delle loro facoltà psico‑nervose.
    Ruffo di Calabria, come s'è visto, apparteneva in quel periodo alla leggendaria Squadriglia del « Cavallino Rampante », la 91ª,  comandata dal­l’Asso degli Assi dell’Aviazione da Caccia Italiana: era già un famoso campione del duello aereo, con sei apparecchi abbattuti. Aveva trentatré anni, quattro di più di Francesco Baracca.
    Ma per mettere a fuoco la figura di questo eccezionale soldato dell'aria, sarà bene ricordare gli eventi e gli episodi più significativi della sua esistenza pre ‑ bellica.

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    Fulco di Calabria era nato a Napoli il 18 agosto 1884. Discendeva da un'antica famiglia principesca, era settimo duca di Guardia Lombarda. Il padre, Don Beniamino, un gentiluomo tutto di un pezzo di vecchio stampo, aveva occupato per anni la carica di Sindaco della città partenopea. La madre, Laura Mosselman du Chenoi, era di nobile famiglia belga.
    Fulco crebbe in un ambiente familiare affettuoso, ma severo, fu educato secondo quei principi di cui oggi, anche nelle famiglie patrizie, si è perduto il seme: devotissimo ossequio per i genitori, rigoroso rispetto della forma, vita disciplinata, senso dell'onore come una seconda religione.
    Ma l'esistenza chiusa, routinière, priva d'imprevisti in cui vivevano i nobili del tempo, non si confaceva all'indole irrequieta del giovane principe, alla sua ansia per una vita dinamica e ricca di avventurose esperienze. Cosic­ché dopo aver preso la licenza liceale e compiuto un anno di servizio volontario, a Foggia, nell'II° Reggimento di Cavalleria, s'imbarcò per l'Africa in veste di agente prima, e poi come Vice ‑Direttore di una Società Italo ‑Belga per la navigazione e il commercio sul fiume Giuba.

    In Africa oltrechè occuparsi di questioni commerciali, partecipò a speri­colate partite di caccia grossa, a impegnative spedizioni in zone non ancora esplorate. E visse, così come aveva sognato da ragazzo, romanzesche avven­ture. Soffrì la fame e la sete. Corse dei rischi mortali. « Ieri notte ‑ annotava nel diario in data 29 aprile 1912 ‑ sono stato, credo, molto ammalato. Il mio boy mi assicura che ho delirato fino all'alba. Anche adesso ho una forte febbre che non accenna a diminuire, nonostante tutto il chinino preso. Ho l'impressione di morire. Se è la famosa malattia che hanno al Congo, sono liquidato. Posso andarmene in tre giorni. Sono il solo bianco della regione ».
    E più oltre, nello stesso diario, scriveva: « Il mio compagno De Marneff è caduto nel fiume, e solo oggi abbiamo ripescato una parte del suo corpo, il resto se lo sono mangiato i coccodrilli».
    Dall'Africa il futuro asso da caccia rimpatriò una prima volta per bat­tersi in gran fretta al duello: « Due giorni a Napoli ‑ scrive in proposito ‑per procurarmi i vestiti, due a Roma per battermi e sciabolare il mio avver­sario, un biglietto di andata e ritorno a Bruxelles e all'Aja per abbracciare la famiglia e gli amici poi ritorno immediato in Colonia ».
    Rimpatriò una seconda volta, nel 1914, per cercare in Italia e nel Belgio i finanziamenti con cui fondare, in proprio, in Africa una società commer­ciale, e reperiti i fondi già era sulle mosse di ripartire, allorchè divampò in Europa la guerra.
    Rimase. Arruolatosi di nuovo in Cavalleria, così come altri non pochi ufficiali della stessa Arma, fra cui Baracca, venne attirato dall'aviazione. At­trazione istintiva. Sentì quanto più congeniale fosse al suo temperamento combattere a bordo di un aeroplano, che non in arcioni ad un cavallo.
    Fu inviato alla Scuola di Pilotaggio di Mirafiori (Torino), poi a quella di Pisa, ove completò l'istruzione sul Blériot –8o.HP, un apparecchio tran­quillo, di facile governo, di eccellenti prestazioni.
    Appena ottenuto il brevetto di pilota (agosto 1915) Ruffo di Calabria volle subito cimentarsi nelle più complesse evoluzioni acrobatiche: avvita­menti, scivolate d'ala, cadute a « foglia morta », loopings (allora pittoresca­mente chiamati cerchi della morte). Ma non era ancora abbastanza esperto per una corretta esecuzione di codeste manovre, e più volte corse l'alea di schiantarsi contro terra. Un giorno tornò al suolo con le ali del Blériot sver­golate per le violente sollecitazioni cui le aveva sottoposte in seguito ad un prolungato avvitamento.
    Nelle scuole di pilotaggio del tempo non venivano impartite, agli allievi, lezioni di acrobazia a doppio‑comando: la funzione degli istruttori si limi­tava a trasformare con la massima sollecitudine un giovane, che nove volte su dieci non aveva mai visto da vicino un aeroplano, in un pilota capace, per così dire, di volare di stretta misura, cioè senza recar danno a sè e al mate­riale di volo, o scassando il minor numero di apparecchi possibile. E se un allievo dimostrava una particolare sensibilità manovriera, spregiudicatezza e disposizione per i funambolismi aerei, non per questo si provvedeva a uti­lizzarlo come pilota da caccia. La selezione attitudinale era ancora una frase vuota di senso. Duellatori in nuce, com'erano Ruffo di Calabria, Scaroni, Baracchini ed altri, tardarono a ottenere l'abilitazione su aerei da caccia, che pur si adattavano alle loro personalità come un guanto alle dita di una mano.

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Il 28 settembre 1915  Ruffo di Calabria divenne  « pilota aviatore in ser­vizio di guerra », e il I° ottobre era in zona operativa, assegnato alla IV Squa­driglia di Artiglieria.
    Il compito principale svolto dalle « Squadriglie di Artiglieria » consi­steva nell'aggiustare, dall'alto, il tiro delle batterie campali a lunga gittata, e nell'eseguire ricognizioni fotografiche e a vista, nelle retrovie nemiche. Per tale attività  veniva impiegato il Caudron – G.3, un biplano a carlinga di tipo già surclassato all'inizio delle ostilità, ma che rimase in linea fino al termine dell'anno seguente. L'equipaggio si componeva di pilota e di osservatore. Svi­luppava una velocità di appena Ioo chilometri orari, era disarmato perchè, data la scarsa potenza motrice, bisognava scegliere fra il peso della stazione radio e quello della mitragliatrice. Non basta: discontinua era l'efficienza di quegli apparecchi per carenza di materiali di ricambio, di personale specia­lizzato e di attrezzature tecniche nei campi di volo.
    Sin dal primo giorno di guerra Ruffo di Calabria mise in luce quelle sue qualità che gli consentiranno, più oltre, di collocare il suo nome nella rosa dei massimi cacciatori della prima conflagrazione mondiale: destrezza aviatoria, ardente slancio combattivo e assoluta noncuranza del rischio.
    Incominciò ben presto a distinguersi : il 12  novembre 1915, a distanza di poco più di un mese dal debutto come pilota di guerra, si meritava un elogio per una missione esplorativa compiuta a poche centinaia di metri, sotto il nutrito fuoco avversario, sul Basso Isonzo. E l’11 febbraio 1916, nono­stante il forte vento a raffiche e l'aggiustato tiro nemico che colpiva il suo apparecchio per ben undici volte, persisteva a volare sopra una batteria au­striaca da 305, consentendo così alle nostre artiglierie di localizzarla e di di­struggerla. Per le due azioni gli venne assegnata una medaglia di Bronzo al Valor Militare.
    Ruffo di Calabria rimase alla IV Squadriglia di Artiglieria poco più di tre mesi, precisamente fino al 26 gennaio 1916. Trasferito ad altro reparto del genere (la II Squadriglia), continuò a sfidare, a bordo del lento e vulnerabile Caudron, la reazione contraerea nemica quantunque di giorno in gior­no divenisse più intensa e precisa.
    Fra i parecchi voli bellici di questo periodo va rammentato quello del­l'8 aprile 1916, per il quale il futuro asso si ebbe una seconda Medaglia di Bronzo al Valor Militare.

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L'aspirazione di diventare pilota da caccia dominava la mente di Ruffo di Calabria sin dalle prime settimane di guerra, ma per un complesso di ragioni che troppo lungo sarebbe dire, non potè essere appagata se non ai primi di maggio del 1916.
    Fu inviato al Campo d'aviazione di Cascina Costa, nella brughiera di Gallarate, ove allora aveva sede una Scuola di Volo per l'abilitazione al pi­lotaggio del Nìeuport‑Bebè, un biplano costruito su licenza dalla Società Aeronautica Macchi, e denominato appunto Bebè o Nieuportino per le sue ridotte dimensioni. Munito di un motore GnÛne da 8o HP sviluppava una massima velocità di 155 chilometri l'ora, aveva una tangenza pratica di 5000 metri, un'autonomia di circa due ore.
   
Il Bebè,  poi costruito in altre versioni migliorate, fu il primo vero caccia della nostra Aeronautica militare; assieme all'Hanriot equipaggiò la mag­gior parte delle squadriglie fino al termine delle ostilità, e per le sue eccel­lenti doti di maneggevolezza colse molti brillanti successi.
    Per Ruffo di
Calabria l'istruzione su questo apparecchio, fra doppi ‑comandi, prove di brevetto e addestramento delle armi di bordo, durò poco più di due mesi. Il 28 luglio 1916 era di nuovo al fronte, incorporato nella 70ª Squadriglia da Caccia.
    Egli rivestiva in quei giorni il grado di Tenente di Complemento di Cavalleria, e come ogni altro ufficiale aviatore della prima guerra del mondo, sebbene inserito nel Corpo Aeronautico, continuava a indossare l'uniforme dell'Arma di provenienza, alla quale in certo senso non cessava di appar­tenere.
    Militando in Aviazione Ruffo, fedele all'antica tradizione guerriera della sua Arma, veramente combattè con l'animo del « cavaliere che getta il suo cuore oltre l'ostacolo », ma questa virtù non gli avrebbe da sola consentito di collocare il suo nome nei primi posti dell'elenco ufficiale degli assi, se non fosse stata congiunta ad un'eccezionale perizia e sensibilità aviatoria, mira infallibile, tempestività nello sferrare gli attacchi.
    Anche sul piano fisico egli incarnava la figura‑tipo del cacciatore: alto, esile, vivace, capelli e occhi neri, una vivida luce nel fondo delle pupille, il profilo tagliente, da uccello d'alta quota. Ma veniamo ai fatti.
    Appena ventisei giorni dopo l'esordio come pilota da caccia (il
23 agosto 1916) Ruffo di Calabria abbatteva il primo velivolo nemico. Il 16 settembre efficacemente concorreva alla distruzione di un secondo apparecchio.
    Di quest'ultimo combattimento ci è giunta una dettagliata descrizione attraverso un vecchio numero di « Nel Ciclo », una delle rare riviste d'avia­zione dell'epoca. Ne riportiamo qualche passo:

    « Il 16 settembre 1916 un LØhner austriaco da segnalazione di artiglieria, volava nel cielo fra Monte Stol e Monte Starieski, noncurante del fuoco delle nostre batterie antiaeree. Contemporaneamente volavano in quella zona due nostri cacciatori, uno dei quali era Baracca, l'altro Ruffo di Calabria, da poco tempo pilota di Nieuport. I nostri aviatori gli si slanciarono addosso, impegnando il combattimento. Furono scambiate varie raffiche di mitragliatrice: l'aeroplano austriaco si difendeva con somma maestria. Poi sopraggiunse un terzo Nieuport pilotato da Olivari, ma ormai per il nemico era finita perchè la mitragliatrice di Ruffo già gli aveva rovesciato addosso un'altra raffica che investì e uccise il pilota.
     Ruffo di Calabria insieme al comandante del "cavallino rampante" Francesco Baracca, a colloquio dopo l'abbattimento di un aereo nemico.

     «  Poichè il LØhner, abbandonato a se stesso, cadeva giù come un peso morto, l'osservatore austriaco provò a impossessarsi delle leve di comando per rimettere l'apparecchio in linea di volo. Ma il corpo del compagno l’im­barazzava. Si vide che l'osservatore faceva uno sforzo disperato per tirar su il morto e poter afferrare le leve: lo scosse e gli si avviticchiò. Tutto fu inu­tile. L'aeroplano non aveva più direzione e precipitava a zig zag. Con uno sforzo supremo l'osservatore giunse con una mano alla leva. E per un mo­mento la caduta dell'aeroplano si arrestò. Era a 8oo metri, e intorno volteg­giavano sempre i tre cacciatori italiani, pronti a riprendere il fuoco. Poi anche quella manovra fallì, e l'apparecchio cominciò a fare un giro su se stesso, una, due, tre volte. In certi momenti l'aeroplano sostava un istante, poi tor­nava a precipitare. Infine l'apparecchio venne giù con veemenza, andando a sbattere a metà costa sul Monte Stol. L'osservatore fu estratto dai rottami incendiati del velivolo: era mortalmente ferito, e tuttavia trovò, poi, la forza di raccontare all'ospedale la sua tragica avventura.
   
« Appena tornati a terra ‑ conclude l'autore dell'articolo ‑ Baracca, Ruffo e Olivari, sollecitamente si recarono sul posto ove era caduto l'aero­plano: vi pervennero mentre alcuni infermieri stavano componendo la salma del pilota sopra una barella, ed altri infermieri e un medico apprestavano le prime cure al ferito.
        - C'è qualche speranza? ‑ chiese Baracca.
        - Si. Se riusciremo a trasportarlo alla svelta all'ospedale riuscirà forse a cavarsela.
        ‑ Poveri giovani ‑ disse Baracca rivolgendosi a Ruffo e a Olivari ‑ma è la guerra! ».
    Questa volta la spietata legge della guerra aveva falciato uno dei prota­gonisti di quello scontro aereo; più avanti non risparmierà due altri parteci­panti al medesimo scontro: Luigi Olivari, asso dalle 12 vittorie, perderà infatti la vita in combattimento il 13 ottobre 1917, e Francesco Baracca soccom­berà il 18 giugno 1918.
    Trascorsa una settimana Ruffo di Calabria attacca e abbatte un altro velivolo, e con questa vittoria, cui vanno aggiunti cinque duelli aerei e nume­rosi voli di crociera e di scorta ai nostri bombardieri, si chiude, nel 1916, la sua attività di cacciatore.

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    Ma qui giunti converrà aprire una parentesi, onde rendersi conto delle difficoltà in cui dibattevasi allora, in senso strettamente tecnico e operativo, la nostra aviazione da caccia.
    Inesistente, la specialità, all'inizio della guerra (24 maggio 1915) la sua prima apparizione si ebbe circa tre mesi dopo, con la costituzione di una squadriglia di Nieuport biposto (l'apparecchio era chiamato Nieuporto- 18 metri, in quanto la sua superficie alare era appunto di 18 metri quadrati). Il velivolo non disponeva di mitragliatrice e l'osservatore, attraverso un'aper­tura praticata nel piano dell'ala superiore, si sporgeva e sparava con un mo­schetto sul l'avversario. Gli scarsi risultati ottenuti, consigliarono di sostituire il moschetto con una pistola ‑ mitragliera bicanna, tipo Revelli, installata sul piano dell'ala superiore e manovrabile da parte dell'osservatore. Ma poichè l'apparecchio era troppo pesante per raggiungere in quota l'avversario in tempo utile, si rinunciò ben presto all'osservatore. Anche la nuova versione, a motivo soprattutto delle frequenti avarie alla pistola‑ mitragliatrice, alla difficoltà di caricarla in volo e al primitivo sistema di puntamento, non dette risultati apprezzabili.
    Verso la fine del 1915 venne adottato, in funzione di aerocaccia, per la difesa di Brescia e di Verona, l'Aviatik,  grande biplano a due posti, realiz­zato in Germania e riprodotto in Italia su licenza. Il SUo armamento consi­steva in una mitragliatrice Fiat rigidamente applicata sull'ala superiore, e in due mitragliere mobili laterali sistemate all'altezza dell'abitacolo dell'osser­vatore. A stento l'aereo toccava i 3.000 metri, la sua velocità orizzontale inoltre era di 15 ‑ 20 chilometri più bassa di quella delle macchine antagoniste.
    Messo in disparte anche l'Aviatik,  passarono ancora quattro mesi avanti che nascesse una specialità ‑ caccia degna di questo nome: ciò avvenne nella primavera ‑estate del 1916, con l'adozione del Nieuport‑Bebè, derivato dal biposto anzidetto (altrimenti definito Nieuport‑I3 metri).
  
Il «Bebè» era armato da una mitragliatrice Lewis fissa sull'ala supe­riore, era fornito di un'eccellente cannocchiale di puntamento, e, come si è dianzi accennato, in grado di sviluppare una velocità dì 155 chilometri orari. Squisite, infine, erano le prestazioni del velivolo.
   
Col Nieuport‑Bebè,
il 7 aprile 1916, Baracca coglieva, nel cielo di Me­deuzza, la sua prima vittoria.
    Al momento in cui Ruffo di Calabria iniziò a combattere come pilota da caccia, nessuno avrebbe potuto istruirlo sulla miglior tattica del combattimento aereo, per la semplice ragione che le prime raffiche di mitragliatrice, fra i nostri velivoli e quelli austriaci, erano state scambiate, in un vero e pro­prio duello aereo, soltanto tre mesi e mezzo prima con armi che non spara­vano attraverso il disco di rotazione dell'elica. Solo nell'ultimo anno di guerra i cacciatori neofiti potevano attingere dai cacciatori anziani qualche lume SUl miglior modo di condurre un combattimento aereo. Talvolta essi venivano empiricamente addestrati, ma nel ciclo nemico. L'esordiente cioè effettuava le sue prime missioni ( voli -caccia, voli ‑ scorta, mitragliamenti e lancio di spez­zoni a bassa quota) come pattugliere di un pilota esperto.
    Ruffo di Calabria, ripetiamo, senza esperienza e senza scuola, immediata­mente emerse come un cacciatore di alta classe. Ma seguiamo la sua ascesa in ordine cronologico.
    Dopo i tre vittoriosi combattimenti di cui s'è detto, le pessime e persi­stenti condizioni meteorologiche sull'intero fronte, ridussero l'attività aerea ai  minimi termini. I velivoli del tempo non erano strumentati per volare, come si usa dire, alla cieca, e lo stesso dicasi per gli aeroplani nemici: per­tanto levarsi in volo con il cielo offuscato dalla nebbia, o ammantato di una coltre di nubi basse, più che un'impresa irta di difficoltà e di rischi, era una spavalderia inutile.
    L'ultimo scontro aereo avuto dal nostro principe ‑ aviatore, avvenuto nel 1916, fu quello del 29 dicembre: attaccato su Monfalcone un Albatros da ri­cognizione, lo costringeva in breve ad una precipitosa fuga.
    Questo tipo di apparecchio quantunque più pesante e meno manovriero del Niueport- Bebè, era un osso duro. Equipaggiato di un  potente motore (da 160 e 185 HP, a seconda delle versioni) e munito di due mitragliatrici a tiro rapido, si difendeva egregiamente, e quand’era messo alle strette riu­sciva agevolmente a sganciarsi con una forte picchiata a tutto gas.
    L'anno di grazia di Ruffo di Calabria fu il 1917. Il I° gennaio nel cielo di Sagrado, si lancia addosso ad un Albatros, lo annaffia di proiettili e lo co­stringe a ritirarsi nelle proprie linee; nello stesso giorno, su Monfalcone, dopo un breve combattimento, abbatte un aereo. Trascorsa una settimana, centra con una raffica un altro Albatros, che si allontana senza far ritorno. E nel tardo pomeriggio  del 26 gennaio, a breve distanza l'uno dall'altro, ingaggia due duelli ‑aerei: il primo su Cormons e l'altro su Capriva, ma non riesce a portare a termine le due azioni a causa dell
'inceppamento dell’arma.
    Nel mese di febbraio Ruffo di Calabria s'impegna a fondo in cinque scontri: in quattro di essi costringe l'avversario a battere in ritirata, nel quin­to, di nuovo per avaria alla mitragliatrice, è costretto a desistere.
    In primavera, col miglioramento delle condizioni atmosferiche, le missioni dell’instancabile cacciatore si susseguono, di giorno in giorno, a ritmo più incalzante. Egli è sempre il primo a spiccare il volo, sovente si offre di sostituire, nei turni operativi, questo o quel collega di squadriglia. « Prendo il tuo posto ‑ dice ‑ tu sei ammogliato ed io scapolo. E' meglio che vada io ». Nell'aprile ‑ maggio sostiene ben 26 combattimenti aerei, e abbatte quattro velivoli.
    Particolarmente duro è il match del 20 maggio. « Oggi il Ten. Ruffo di Calabria - si legge in un succinto rapporto compilato nell'occasione ‑ dopo aver sostenuto due lunghi combattimenti aerei, il suo apparecchio veniva colpito da un terzo velivolo nemico e così gravemente danneggiato da non po­tersi più usare in squadriglia. Era colpito: da una pallottola nella parte anterio­re della capote che attraversava il radiatore, il serbatoio della benzina (che veni­va squarciato), uscendo poi nella base antivibrante della macchina fotografica; da una seconda pallottola che entrava nella fusoliera, a pochi centimetri dalla gamba del pilota, e usciva di sotto la fusoliera; da una terza pallottola che entrava pure nella fusoliera ... » ; eccetera. (Seguono le dettagliate descri­zioni dei danni prodotti dalle altre pallottole, una delle quali « scheggiava gravissimamente il  longherone posteriore e spezzava la crociera nell'interno dell'ala, danneggiando anche varie centine»).
    E' incredibile come un velivolo lesionato al punto da esser poi dichiarato fuori uso », sia potuto tornare al suolo. Certo, riferito a questo episodio, il noto proverbio fortes fortuna adiuvat non fu scritto invano, ma oltre la fortuna contribuirono a far tornare al suolo indenne il pilota, la sua maestria ed il suo eccezionale sangue freddo.
    Di ciò si ebbe nuova conferma nel duplice combattimento del 30 maggio 1917, durante cui ... « metteva in fuga due avversari, ma veniva attaccato alle spalle da un terzo velivolo, il quale mediante una pallottola esplosiva produceva al suo apparecchio un grave squarcio nell'alerone sinistro, produceva altresì lo sbandamento del medesimo apparecchio, e difficilissimo il suo rientro al campo. L'apparecchio infine veniva colpito nel montante dell'ala destra, e riportava la rottura della crociera metallica centrale del montante di destra ».


      I componenti della Squadriglia degli assi (91ª) con Baracca;
                       Ruffo di Calabria è il sesto da sinistra.
    Va rammentato a questo punto che l'intenso ciclo operativo di cui ci siamo ora occupati, venne in parte compiuto da Ruffo di Calabria quale su­balterno della 70ª Squadriglia da Caccia, e in parte (dal I° maggio 1917), come subalterno dell’ormai leggendaria 91ª Squadriglia da Caccia comandata da Francesco Baracca. Apparteneva alla stessa 91ª  uno staff di altri grandi cacciatori, quali Ferruccio Ranza, destinato ad occupare nella graduatoria ufficiale degli assi il 6° posto, con 17 vittorie; Luigi Olivari, con 12 vittorie; Gastone Novelli, con 8 vittorie; Cesare Magistrini, Bortolo Costantini e Guido Nardini, con 6 vittorie. Si aggiungano i nomi di De Bernardi, Bacula, D'Urso, Keller, che non hanno bisogno di commento.


    Sin verso la metà del 1917, i piloti da caccia italiani, per quanto forte­mente contrastati da quelli austriaci, riuscirono ad assicurarsi una decisa su­premazia aerea. Ma più oltre, specie dopo il crollo del fronte terrestre rus­so, una consistente aliquota dei reparti di volo colà schierati, fu trasferita sul fronte italiano. E la supremazia passò, per qualche tempo, in mano al nemico.
    Proprio mentre si accrescevano le difficoltà e i rischi degli scontri aerei, fra il 14 e il 25 luglio, caddero sotto le raffiche di Ruffo di Calabria, sette apparecchi avversari : un rècord, a nostri memoria, non ancora superato.
    Epico fu il combattimento del 20 luglio, su cui  si diffuse a lungo la stampa del tempo. L'asso era in volo di crociera, allorchè il motore incominciò, come si dice in gergo, a rattare, ossia a perdere dei colpi. Attimi dopo egli scorse lontano, ad una quota leggermente inferiore alla sua, una forma­zione di cinque apparecchi austriaci. Chiunque altro, nei suoi panni, data la superiorità numerica nemica resa più schiacciante dal proprio handicap tecnico, avrebbe giudicato una follia sferrare l'attacco. Ruffo di Calabria, al­l'opposto, non ci pensò su due volte. Decise di attaccare. Si studiò dapprima di guadagnare qualche centinaio di metri di quota, e poi, mentre la pat­tuglia nemica sfilava sotto le sue ali, si tuffò a pieno motore. « Impennavo l'apparecchio ‑ scrisse due giorni dopo nel diario ‑ per aggiustare la mira e far fuoco, ma il motore continuava i rattare, e il mio aereo non si sosten­tava nell'aria. Loro, intanto, mi si erano rivoltati contro tutti insieme. . . ».
   
E più innanzi conclude: « Sono finalmente riuscito a colpire il primo appa­recchio nonostante facesse capriole pazzesche. Ho poi centrato il secondo, che ha incominciato a bruciare alla prima scarica: erano due torce che rigavano il cielo. Gli altri sono scappati ».
    Egli combatteva ora a bordo dei nuovo aerocaccia Spad‑ VII, adotta dalla 91ª Squadriglia qualche mese prima. Costruito in Francia, e dalla Fran­cia direttamente importato in Italia, lo Spad‑ VII fu il miglior velivolo da caccia alleato della prima guerra mondiale. Sviluppava una massima ve­locità di 205 chilometri l'ora saliva a 4.000 metri in 16 minuti e mezzo, aveva un’autonomia di circa tre ore e una tangenza pratica prossima ai 5.ooo metri.
    Inizialmente munito di una sola mitragliatrice, ebbe poi stabilmente due armi che sparavano attraverso il disco dell'elica. Fu l'aereo preferito dai nostri maggiori assi perchè manovriero, veloce e ottimo incassatore.
   Ancora a proposito dello Spad‑ VII va detto che gli esemplari approv­vigionati consentirono solo parzialmente lo svecchiamento delle nostre squa­driglie da caccia. Nel contempo anche l'aviazione nemica aveva adottato apparecchi da caccia di modello più avanzato.
   
Il 13 agosto 1917 Ruffo di Calabria, già pluridecorato e ormai famoso an­che fra il gran pubblico come infallibile cavaliere del cielo, veniva promosso Capitano. La precedente promozione al grado di Tenente in Servizio Attivo Permanente, l'aveva ottenuta per merito di guerra.

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Dopo il crollo del fronte russo, come si è visto più sopra, il predominio aereo passò in mano al nemico. Peggiorò la situazione durante gl'infausti giorni di Caporetto (lo sfondamento del fronte ebbe luogo il 23 ottobre 1917), ma l'aviazione italiana sopperì all'inferioritá numerica impegnandosi nella lotta con uno slancio così generoso da guadagnarsi l'alto elogio del Comando Supremo: « Gli aviatori prodigatisi instancabili ‑ dice il Bollettino del I° no­vembre 1917 ‑ meritano sopra tutti l'ammirazione e la gratitudine della Patria ». Nei primo mese deIl'offensiva caddero sotto il tiro dei nostri caccia­tori 53 velivoli nemici, di cui 19 in territorio da noi controllato.
    Fra gli aviatori « prodigatisi instancabili » vi erano in testa quelli del re­parto guidato da Baracca. Ruffo di Calabria, come sempre, si distinse, sia nel combattimenti, come nei mitragliamenti e nel lancio degli spezzoni a volo radente.
   Esauritasi la spinta nemica, vi fu un periodo di stasi in ogni specialità della nostra aviazione: aeroplani e uomini, sopravvissuti alla bufera, erano stati sottoposti ad uno stress tale da imporre una battuta di arresto.
    Verso la fine di dicembre, sempre del 1917, Ruffo di Calabria quale membro di una commissione di esperti, cui facevano parte Baracca e Piccio, lasciò per qualche tempo il fronte per presenziare al collaudo di un nuovo ap­parecchio da caccia, l’A.I ‑ « Balilla» (che i tre assi dovevano anche provare in volo), costruito dal Cantieri Aeronautici Ansaldo.
    Di concezione e realizzazione interamente italiana, e di eccellenti carat­teristiche, l'apparecchio fu prodotto in serie in ritardo. Soli pochi esemplari furono avviati al fronte.
    Tornato in linea Ruffo di Calabria riprese a operare con lo stesso ritmo e la stessa foga dei primi giorni : erano voli di scorta ai bombardieri Caproni, volo di crociera e di caccia, voli di mitragliamento e spezzonamento, voli di ricognizione.
    Fra il 20 maggio e il 15 giugno 1918, il Nostro abbatte ancora due velivoli. Il  19 giugno ‑ giorno in cui Francesco Baracca cadeva sul Montello durante un'azione di mitragliamento ‑ troviamo segnati nel prospetto dei voli di guerra di Ruffo di Calabria, tre voli, di cui uno di 90, uno di 80 e uno di 60 minuti, alle rispettive quote di 3‑000, 3.500, 500 metri, con le seguenti esplicazioni, nell'ordine: « Crociera offensiva sulle truppe nemiche del Mon­tello » ‑ « Volo su allarme » ‑ « Mitragliamento delle truppe nemiche sul Mon­tello».
Nella tragica giornata in cui l'Aeronautica Italiana perdeva il suo più illustre campione, Fulco Ruffo di Calabria rimase in aria per quasi quattro ore, al di sopra delle linee del Piave, ove ardeva la battaglia decisiva della guerra. E fra il 24 e il 20 giugno distruggeva due altri apparecchi nemici.
   Scomparso Baracca egli ne raccolse l'eredità: fu nominato Comandante della Gloriosa 91ª Squadriglia da Caccia. In un solo mese (siamo sempre al mese di giugno), il prodigioso pilota compie 23 missioni belliche: i camerati, i subalterni del suo reparto si chiedono da quale fonte, Lui, uomo di esile complessione, di salute delicata, attinga l'energia per reggere ad una così massacrante fatica.
   
E sino all'ultima ora di guerra vola, combatte con immutato ardore, mette a repentaglio la vita. Il 20 ottobre 1918, cinque giorni prima che l'Au­stria firmasse a Villa Giusti i patti di armistizio con l'Italia, mentre effettua un ennesimo mitragliamento a volo radente sulle trincee nemiche, raffiche di mitragliatrice squarciano il serbatoio del suo Spad. E' costretto a scendere, fra un grandinare di altri proiettili, nelle linee austriache. Ma appena toccato il suolo, fugge, riesce a sottrarsi alla cattura e a raggiungere le nostre posi­zioni. E pervenuto al campo d'aviazione aggiunge ancora un volo, l'ultimo volo di guerra ( 2 novembre 1918) al suo mirabile curriculum vitae di combattente del cielo.
    Gli  vennero ufficialmente attribuite, fra velivoli abbattuti da solo, e quelli abbattuti con altri cacciatori, venti vittorie aeree.

     Il suo nome, nella gradua­toria ufficiale degli assi da caccia, compilata in zona di guerra il 1° febbraio 1919, e firmata dal Comandante Generale d'Aeronautica Luigi Bongiovanni, venne collocato al quarto posto, un posto di grande onore in quanto la sua attività di cacciatore ebbe inizio verso la fine di luglio del 1916, cioè oltre un anno dopo lo scoppio della guerra.
    Ruffo di Calabria, non ci stancheremo di dirlo, fu un grande soldato dell'aria. Ebbe un senso ascetico del dovere, raggiunse in brevissimo tempo, come pilota da caccia, una maestria superba, sostenne cinquantatrè combatti­menti rischiando ogni volta la vita, combattè col valoroso e generoso piglio di un antico cavaliere.

   Gli assi in una stampa dell'epoca, dove il capitano Ruffo di Calabria figura al terzo posto; nella graduatoria finale della 91 ª squadriglia confermerà tale posizione, mentre in quella generale risulterà quinto, con venti vittorie omologate.

Fra gli episodi che testimoniano la nobiltà del suo animo, ne ricorderemo uno. Dopo accanito duello, sopraffatto l'avversario, lo segue spiralando nella caduta e atterra nei pressi ove quello si fracassa al suolo. E soccorre l'aviatore ferito, e gli appresta le prime cure, e lo accompagna all'ospedale. Qui giunto l'austriaco, da un portafoglio lacerato dalle pallottole e intriso di sangue, estrae una fotografia: « E' di mia madre ‑ dice ‑ vorrei farle sapere che sono vivo ». Ruffo di Calabria lo aiuta a scrivere una lettera, e avuta la lettera, la chiude in una custodia metallica e col suo apparecchio la lascia cadere, da bassa quota, sulle linee nemiche.
   
Il 4 dicembre 1918 Ruffo di Calabria assumeva il Comando Interinale del 14° Gruppo Caccia; nel febbraio dell'anno seguente era destinato al Comando Formazione Squadriglie di Torino. Successivamente, pago di aver dato al­l'Italia e all'Aviazione Italiana, la parte migliore di sè, rientrava nell'Arma di Cavalleria, quindi tornava alla sua attività privata.
    Gli vennero conferite le seguenti decorazioni :
        ‑ una Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia;
        ‑ una Medaglia d'Oro al Valor Militare;
        ‑ due Medaglie d'Argento al Valor Militare;
        ‑ quattro Medaglie di Bronzo al Valor Militare;
        ‑ più diverse decorazioni straniere.
   
La Medaglia d'Oro gli fu personalmente consegnata da Vittorio Ema­nuele III, assieme a Baracca e a Piccio, in Milano, all'inizio del 1918.

 

DECORAZIONI CONFERITE A FULCO RUFFO DI CALABRIA

 

MEDAGLIA D'ORO AL VALOR MILITARE ‑ D.L. 5 maggio 1918.
Capitano di Cavalleria, addetto ad un Comando di Aeronautica di Armata.

«Dotato di elette virtù militari, pilota da caccia d'insuperabile ardire, provato in ben cinquantatrè scontri aerei, con spirito di sacrificio pari al suo valore, continuò a cercare la vittoria ovunque la poteva trovare. In due mesi fece precipitare quattro apparecchi avversari sotto i suoi colpi sicuri. Il 20 luglio 1917, con incredibile audacia, assaliva da solo una squadriglia compatta di cinque velivoli nemici, ne abbatteva due e fugava i superstiti. Mira­bile esempio ai valorosi ». (Cielo di Castagnevizza, 14 luglio ‑ Cielo di Tol­mino, 17 luglio ‑ Cielo di Nova Vas, 20 luglio 1917).

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CAVALIERE DELL'ORDINE MILITARE DI SAVOIA ‑ R.D. 10 settembre 1918.
Capitano di Cavalleria, Corpo Aeronautico.

    « Dall'inizio della guerra in ininterrotto servizio come pilota, come co­mandante di squadriglie da caccia e come co­mandante di gruppo di squa­driglie da caccia, ha reso all'Esercito infiniti preziosi servizi. Animato dal più puro amore di Patria, eletto esempio sempre ai suoi dipendenti, esecutore e organizzatore esemplare, ha saputo con instancabile attività ottenere dai mez­zi messi al suo comando, il più completo rendimento. Nobile esempio come sempre di valore individuale, ha abbattuto, nell'ultimo periodo della guerra 7 apparecchi nemici ». (1915 ‑ 1918).

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MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE ‑ D.L. 15 marzo 1917.
Tenente di complemento di Cava11eria, Battaglione Squadriglie Aviatori.

    « Pilota aviatore addetto a una squadriglia di aeroplani da caccia, con sereno sprezzo del pericolo e grande sangue freddo, dando prova di molta perizia aviatoria, affrontava arditamente potenti aeroplani nemici, riuscendo col fuoco della propria mitragliatrice a determinare la precipitosa caduta di un velivolo avversario in territorio nemico fra Bucovina e Ranziano, e con­correndo efficacemente all'abbatti mento di un altro in territorio nazionale, a Creda presso Caporetto ». (Cielo di Gorizia, 23 agosto 1916 ‑ Cielo di Capo­retto, 16 settembre 1916).

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MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE CONFERITAGLI SUL CAMPO e sanzionata con D.L. 20 gennaio 1918.
Tenente di Cavalleria, Corpo Aeronautico Militare.

    « Arditissimo pilota da caccia, dava continue prove di valore, attaccando numerosi e ben armati velivoli nemici, ed abbattendone 5 in breve periodo di tempo, malgrado il suo apparecchio fosse più volte danneggiato seriamen­te dal tiro avversario riusciva con grande perizia a portarlo in salvo ». (Cielo del Basso e Medio Isonzo, 5 ‑ 26 maggio 1917).

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MEDAGLIA DI BRONZO AL VALOR MILITARE ‑ D.L. 15 ottobre 1916.
Tenente di complemento di Cavalleria, Gruppo Squadriglie Aviazione Arti­glieria.

    « Dava prova di ardire e calma in ogni occasione di volo. Il giorno 11 feb­braio volava, nonostante il vento forte e l'aggiustato tiro avversario che col­piva il suo apparecchio ben undici volte, sopra una batteria avversaria da 305 per osservare il tiro di una batteria nostra, ponendo questa in grado di colpire in pieno il bersaglio ». (Lokvica, 11 febbraio 1916 ‑ Già distintosi volando sul Basso Isonzo il 12 novembre 1915).

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MEDAGLIA DI BRONZO AL VALOR MILITARE ‑ D.L. 24 maggio 1917.
Tenente di complemento di Cavalleria, Battaglione Squadriglie Aviatorie.

    « Pilota di aeroplano addetto ad una squadriglia da caccia, con sereno sprezzo d'ogni pericolo e dando prova di grande perizia aviatoria e sangue freddo, affrontava con altri apparecchi della stessa squadriglia, un potente e ben armato velivolo nemico, concorrendo molto efficacemente, col fuoco della propria mitragliatrice, a determinare la caduta dell’avversario».  (Cielo di Udine, 11 febbraio 1917).

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MEDAGLIA DI BRONZO AL VALOR MILITARE - D.L. 10 giugno 1917.
Tenente, Gruppo Squadriglie Aviazione Artiglieria.

    « Tra vivo e continuato fuoco di artiglieria, fucileria e mitragliatrici ne­miche, navigava a 750 metri sulle posizioni avversarie, allo scopo di agevolare l'osservatore nel ritrarre fotografie. Non essendo riuscita completa la serie, causa un guasto alla macchina fotografica, si manteneva alla stessa quota e nonostante la persistenza del fuoco, riusciva a precisare le posizioni di batterie e di ricoveri nemici ». (Basso Isonzo, 8 ‑ 9 aprile 1916).

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MEDAGLIA DI BRONZO AL VALOR MILITARE ‑ D.L. 16 giugno 1917.
Tenente, Gruppo Squadriglie Aviazione Artiglieria.

    « Informato con altri aviatori che un aeroplano nemico volteggiava con insistenza sopra Monte Stol e Monte Stariski per regolare il tiro delle proprie artiglierie, montato su un velivolo da caccia, arditamente assaliva l'apparec­chio avversario, che strenuamente si difese con una mitragliatrice e con un fucile a tiro rapido, e dopo una brillante e pericolosa lotta concorreva ad abbatterlo, rimanendone ucciso l'ufficiale osservatore e ferito mortalmente il pilota ». (Monte Stariski, 16 settembre 1916).

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PROMOZIONE PER MERITO DI GUERRA al grado di Tenente in S.A.P. (D. del Comando Supremo, 10 marzo 1917). 

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