Parte settima – UN RITORNO SCONVOLGENTE

 

Capitolo 1 - Capitolo 2 Capitolo 3

 

 

         
 

 

 

CAPITOLO 1

 

 

...Così, fui nel taxi, alla volta di una casa fredda e vuota in cui nessuno mi attendeva, tranne che, più intense e dolorose, le memorie dei miei cari morti. Con me, sulla fettuccia dell'autostrada, c'erano solamente il mio smarrimento e quella terribile stanchezza che non mi permettevano ormai più neanche di sperare... Del ragazzone alto e biondo, sportivo e dinoccolato, sempre alla ricerca del pezzo giornalistico straordinario e della bambola, bomba-sexy, restava ora unicamente il nome, Ronny Masters, e una figura magra e stanca, invecchiata assai, con nell'anima, senza sorrisi e sogni, Selenya, Selenya e poi Selenya for ever. un dado a 5 facce!...

Ed eccomi giunto! Anonimo e sconosciuto, senza fretta, perché senza attese, fui a casa. Avevo il cuore gonfio di pianto, poiché, nell'in.] filare la chiave nella toppa, non ci sarebbe stata mia madre che mi avrebbe chiamato dolcemente, come faceva sempre...

Per abitudine, mi fermai alla cassetta della posta che era piena di cartacce, così, almeno, mi sembrò: infatti, stampe, bollette e... una lettera che veniva, guardai e riguardai il bollo, sì, veniva dalla Grecia e precisamente da Mìrakys... "Oddio, il notaio?!". Mi dissi: - Pazzo! - Il notaio era morto e poi, la scrittura non era la sua...

Il cuore mi batteva all'impazzata e il mio pensiero volò a lei... alla mia adorata Selenya. Infilai precipitosamente la lettera in tasca, deciso a leggerla in casa, timoroso che altri potessero rubarmi il segreto che in essa poteva esservi nascosto. Con le dita stringevo la busta, soppesandone lo spessore: data la grossezza, vi dovevano essere parecchi fogli.

Salivo lentamente su per le scale, senza prendere l'ascensore: mi sembrava così di prolungare quei trepidi momenti d'illusione, col terrore che poi si sarebbero tramutati in disillusione e - mio Dio, no! - in dolore e raccapriccio.

Intanto la mia mente era un vulcano che esplodeva ansiosamente, sogni, paure, supposizioni... - Il notaio? E se non era lui il morto di cui mi parlava il consolato? Una rettifica? Theano Kefrai? Forse anche lei non era morta? - Il trapano del mio cervello resuscitava assurdamente i morti! - E se la lettera era del Bosas? - Questo pensiero mi gelò, sembrandomi la cosa più probabile.

Sì, forse era proprio quel maledetto e chissà che cosa terribile mi scriveva...

Mi accorsi che adesso correvo su per le scale e che il fiatone mi toglieva il respiro. Infilai la chiave ed entrai. Accesi la luce e... già qualcosa frenò la mia furia: a terra c'era un biglietto, certamente infilato sotto la porta da qualcuno. Mi chinai a raccoglierlo e lo lessi.

In cuore mi si scatenò un tumulto di rabbia, di timore e di odio... Una scrittura confusa, assai irregolare, ora imprimendo fortemente i caratteri, ora, invece, tracciandoli debolmente da vedersi poco, con mano parecchio tremante, a scatti, aveva scritto: "Il gioco mi piace per questo ancora non t'ammazzo ma vinco Io vinco sempre e tu verrai nella mia trappola topolino Io Sono il padrone di Selenya e di tutti Io Sono il Sole che vincerò la luna!".

Tremavo come una foglia e mi mordevo le labbra a sangue. Lessi e rilessi... Non c'era punteggiatura alcuna, ma non c'erano errori di doppie, né mancanze di accenti, quasi che il maledetto non fosse privo di una certa istruzione, ma di lucidità, solamente. Spiccavano, inoltre, quelle maiuscole e l'io - e il - sono - scritti in grande, con un esibizionismo maniacale. Diceva di essere il sole! Ecco, il disegno ritrovato nel mulino di Blackvalley!... Era giusta l'interpretazione del notaio che, in quel tondo aureolato da raggi, aveva creduto d'intuire il sole! Povero pazzo, si credeva il sole!...

Quel biglietto era una sfida ed insieme la tracotante certezza di vittoria; e, forse, il vile bisogno di giustificarsi, perché non era riuscito a colpirci in quella terribile notte, al castelletto, quando, invece, lui era stato da noi sicuramente ferito; di questo ne ero certo.

Tuttavia, in quel demente scritto vi era qualcosa a cui io volli attaccarmi, per derivarne un filo di speranza. Se Selenya fosse morta, egli non si sarebbe firmato "Il padrone di Selenya": avrebbe, ahimè, usato parole più crudeli, per torturarmi meglio.

Sostai su questo pensiero, cercando di afferrarmi a questa idea, ma, subito, la mia ansia mi fornì un'altra versione: - E se diceva così per spronarmi ancora alla ricerca e quindi per portarmi a suo piacere in chissà quali orridi trabocchetti, come un pesciolino all'amo? -

Questo pensiero mi fece gelare dentro, ma più che per me, per la terribile angoscia che fosse accaduto a Selenya qualcosa d'irreparabile.

Mi sembrava che la testa mi fumasse per le troppe supposizioni. M'imposi allora di non pensare tanto e decisi (questa era l'unica certezza della mia vita) che ormai avrei cercato Selenya sino all'ultimo mio respiro, anche se ciò voleva dire morte.

Con passo pesante andai a seder in camera di mia mamma. Lì, tutto era rimasto in ordine, come se ella avesse dovuto ritornare da un momento all'altro... Mi sedetti nella sua poltrona e chiesi, come un bambino, a quella vecchia stoffa marrone, un po' di tenerezza... Chiusi gli occhi e... per un attimo mia madre mi fu accanto...

Mi accorsi allora che avevo addosso ancora il cappotto e quindi agitatissimo aprii la lettera. Certamente era di quel miserabile pazzo e, dato lo spessore dei fogli, conteneva chissà che orrore e che ricatto... Iniziai a leggere, come sotto un incubo. Ma... quei fogli non erano scritti a mano, tranne uno, assai breve che diceva: "Per come richiesto dal notaio Nick Ferguson, in caso che egli non avesse ritirato personalmente i documenti richiesti, passati tre mesi, glieli invio. Se servirà altra documentazione sarò ben lieto di occuparmene. Distinti saluti. L'addetto di stato civile Gheorghe Panikis". Inoltre vi era una busta su cui la scrittura, la riconobbi benissimo, del notaio Ferguson aveva impresso il mio indirizzo.

Non capii nulla e mi tuffai sul documento; era uno stato di nascita che dichiarava quanto segue: "In data 25 gennaio 1948 nasce in Mirakys (distretto di Kaphos) dai coniugi. Spyro Kiryakopulos e Selenya Bosas in Kiryakopulos, un bambino di sesso femminile, vivo e vitale al quale viene imposto il nome di Theanò. In fede" firme e bolli...

Ero strabiliato e nella massima confusione. Leggevo e rileggevo, incredulo, senza darmene pace! Allora Theanò, sì, Theanò, la moglie del cugino Reginald Kefrai, la mamma di Selenya, era la figlia... non potevo credere... Ma su quel documento era scritto così! Theanò Kiryakopulos era figlia di Selenya Bosas, di quella misteriosa sorella di cui non ero riuscito a saper nulla o quasi. Figlia di Selenya Bosas, la sorella di quei due loschi figuri... E non bastava... Se non ero uscito pazzo, Theanò era la nipote di quel demonio di Hander Bosas... La notizia mi sconvolgeva a tal punto che quel pensiero rimaneva fuori di me, come un puro concetto di conoscenza, avulso dalla realtà... - Impossibile, mi andavo ripetendo, impossìbile... - Ed allora, Selenya, la mia piccola adorata Selenya che portava lo stesso nome della nonna, era la pronipote di quel bruto che la torturava, che la violentava?... Impossibile!

Però il nome, quel nome, così strano e totalmente fuori dal comune, forse di origine greca, era come un cappio ossessivo che legava Luna all'altra le due creature... Dimentico per un attimo del biglietto del giardiniere e della busta chiusa, mi raccolsi su me stesso, poiché la testa mi scoppiava e mi veniva addirittura da rimettere. Non potevo che pensare: ecco cosa aveva scoperto il notaio Ferguson, questo e forse altro! Certamente per ciò era stato ucciso. Sì, ucciso, perché di questo io ero veramente sicuro. - Ma, allora, il Bosas sapeva anche lui? E pur sapendo che quella creatura che teneva prigioniera era una sua nipote, la violentava, la torturava? - Volevo urlare e quell'odio che mi tenevo dentro, mi spaccava il petto...

Presi la busta che era assieme a quell'atto di nascita e lessi attentamente. Su questa la scrittura stretta e lunga del notaio aveva tracciato, nitidamente, il mio nome, con a lato, a stampatello grande, la scritta: -Strettamente personale -.

Quasi a riprova del carattere personalissimo, sul retro e attorno, la lettera era recintata da dello scotch, sicché era impossibile aprirla senza strapparla tutta. Pertanto lo feci con la massima cautela, nel timore di rompere qualcosa che era all'interno.

Ecco, cosa trovai: dei fogli di carta velina, sicuramente una bratta, dato lo stato sciatto e le frequenti correzioni e un foglio che, come il primo, era un certificato di nascita ma assai più vecchio e logoro, piegato e ripiegato. Questo era scritto a macchina e parecchio stinto. Agitatissimo lessi: "In data 6 maggio 1960 nasce in Mirakys (distretto di Kaphos) dai coniugi Spyro Kiryakopulos e Selenya Bosas in Kiryakopulos, un bambino di sesso femminile, vivo e vitale a cui viene imposto il nome di ...".

Mi prese un colpo e sentii il bisogno di chiudere gli occhi per un attimo. Allucinante! Era scritto: "A cui è stato imposto il nome di Sophia"... Sophia!? Quindi Sophia era la sorella di Theanò e la nipote, non la figlia di Hander Bosas?...

Cercai d'impormi attimi di autorilassamento, di riflessione. Non era quella, forse, la più crudele, demenziale burla del mostro?... Perché tutto ciò non poteva, non poteva essere vero. Neanche nel più irreale dei romanzi avvengono cose simili: no!, non poteva essere vero. Eh, ma no! Invece era vero! Ora cominciavo a intendere meglio il senso della lettera di Jeremy Tigh, terrorizzato che si potesse capire che la rassomiglianza...

In uno stato di enorme confusione mentale, di disorientamento, e di sconcertata incredulità, come un automa, mi misi a tentar di leggere ciò che era scritto a penna nell'altro foglio, poiché la scrittura era parecchio sbiadita e tremante. Riuscii a capire, dopo diverse difficoltà.

 

 

 

 

CAPITOLO 2




 

"Figlia mia adorata, Theanò mia, prima di morire, voglio che tu sappia questo strazio che mi divora da anni e che, ora che ho rivisto quel dannato ... maledetto, deciderà la mia morte. Non posso più, non posso più, ma tu giurami che tua sorella che è giovane e tanto malata, non lo saprà mai. Per tanto tempo non ti ho detto ciò che leggerai adesso. Perdonami, ma l'ho fatto non perché volessi farti un sotterfugio di una cosa così orribile, ma perché so che ti darò un dolore senza fine. Ora papà, il mio carissimo Spyro che, come tu sai, adoravo, è morto. Io mi sento crepare per questa pena cocente: lo amavo tantissimo e con la sua partenza mi si è strappato il cuore. Questo dolore che mi lacera, però, non è niente, in confronto al pensiero che io, io, sono pressoché la causa della sua dipartita. Figlia mia, perdonami, perdonami. Perdonatemi tutti. Perdonami, te lo chiedo in ginocchio, ma sappi che avrei preferito le mille torture dell'inferno, invece che dargli quel dolore. Ma quell'infame, quel mostro, più miserabile di Caino, gli ha detto... e me lo ha ucciso, capisci. Tuo padre è morto per la vergogna, stroncato dallo strazio di quanto quello gli ha rivelato. Malvagio, pazzo senza cuore! Che Dio lo maledica, per come io lo maledirò fino alla fine di questa mia disgraziata vita che vorrei cessasse subito. Figlia adorata, ho pianto tutte le lacrime della mia disperazione ed adesso i miei occhi sono secchi. Ma che serve, se su questa mia carne, sul mio sangue, sul mio cuore, sulla mia anima è quel marchio di orrore e di vergogna? Mai, mai, per un attimo ho dimenticato e mai, mai, dimenticherò e, fino al mio ultimo respiro, maledirò quel bruto.

Scusami se, in questo stato, ti scrivo cose che tu non comprendi, ma sono pazza di dolore e di odio. Vorrei solo uccidere, ma la morte non cancellerebbe l'infamia. Voglio, però, che tu capisca e, come posso, cercherò di essere più calma.

Il documento di nascita che ti accludo, in cui è annotato che tua sorella Sophia è figlia mia e di tuo padre, è falso. Solo la data di nascita è giusta. Il segreto che per tutto questo tempo amaro mi ha sbranato l'anima, è questo qua: lei, creatura mia, la mia piccola, adorata innocen­te, porta nel suo sangue la maledizione di Dio e della natura, infatti è figlia, seme infetto e degenerato, di quel demonio di... Come una belva vorrei sbranare quel nome che non oso accennare neppure nella mia mente... La parola, fratello, è peggio di un coltello che mi fruga nelle piaghe vive, ma è l'orribile verità. Sì, ero qui, felicissima sposa di tuo padre che adoravo più di qualsiasi altra cosa ed ero la più felice delle mamme, perché avevo tua sorella adorata e te, Theanò mia. Bellissi­me e dolci, voi crescevate, radiose, come dei fiori nel sole. Dio vi aveva regalato a noi dopo la morte del mio piccino, Alexio, il tuo fratellino che salì tra gli angeli appena a due anni. Anche quello fu un dolore immen­so, ma, poi, il vostro arrivo fu come un miracolo benedetto che ripor­tò nella casa il sorriso e la speranza.

...Ma venne lui! Non lo vedevo da quando ero piccola. Mio padre, dopo la morte della mia mamma, si era messo con quella ragazza che, poi, gli partorì lui, il demonio fatto uomo, e Silver, l'altro fratellastro. Inoltre, parecchi anni dopo, quando infine mio padre la sposò, fecero un altro figlio, anzi una figlia, che io ricordo appena. Poiché questa donna, la loro madre, mi picchiava sempre e non mi voleva in casa, mio padre mi portò qui, dai miei nonni materni. D'allora, per me, furono ore serene, anche perché, giovanissima, andai sposa al mio carissimo Spyro.

Tuttavia, quel mostro mi ritrovò!... Era appena uscito di galera e farneticava che io avevo avuto da mio padre i diamanti (maledetti, ma­ledetti!) che, invece, spettavano a lui. Pazzo miserabile, io non avevo nulla!

...Ed allora... Una volta che tuo padre dovette partire per ragioni d'affari, malgrado io che per quello là provavo un senso di schifo e di terrore lo avessi supplicato di non lasciarmi sola, una notte... lui, come una iena affamata, venne in camera mia ed a nulla servirono le mie urla, i miei pianti, la mia inutile lotta... Diceva che era il sole e che io, a nome Selenya, ero la luna... Ansava, gorgogliava come una bestia schifosa che insieme avremmo fatto un figlio che sarebbe stato il dio padrone del mondo.

Figlia, perché non sono morta? Perché Iddio non ha avuto pietà di me? Perché il dolore che ti lacera a brandelli anima e corpo non ti uccide? Forse perché, per tutto il resto della vita, soffrendo come dilaniata continuamente da un rasoio, si paghi? Ma io, ti giuro, ti giuro come se fossi al letto di morte davanti al Crocifisso, che non ho colpa... Maledetto, beveva una sua schifosa miscela che faceva un odore dolciastro e stomachevole; diceva che se no, era impotente e, ammazzan­domi di schiaffi, calci e pugni, a forza, me la faceva bere, schiaffan­domela in bocca. Poi, con un coltellino, ridendo come un folle (chi mai la dimenticherà quella risata ululante!) mi tagliuzzava tutta... E poi, una, due, tante volte, abusò di me...

Svenivo e lui mi frustava con la sua cinghia e mi tagliava.,. e poi, ricominciava, inesausto del suo delitto bestiale e beveva il mio sangue... Ancora adesso il cuore mi si spacca, capisci, figlia, capiscimi; tra queste mostruosità, da un simile orrore, contro natura, è nata Sophia...

Io, lo confesso, ho fatto di tutto per abortire: purtroppo me ne sono accorta solo parecchio tempo dopo. Mai, mai, avrei pensato che Dio volesse punirmi così. Allora stetti tanto male che fui quasi per morire, con febbre altissima. Ebbi uno shock spaventoso.

In ospedale, però, non volli andare, per paura che i medici se ne accorgessero.

A tuo padre raccontai che di notte erano venuti dei ladri che mi avevano bastonata tanto e seviziata perché io rivelassi loro dove erano i soldi e le cose di valore. E questo era vero, perché il mostro rubò tutto ciò che avevamo di prezioso e fuggì. Poi quando stetti meglio, parecchi mesi dopo mi accorsi e mi parve d'impazzire nuovamente... A tuo padre dovetti rivelare la gravidanza, ma egli, che mai più poteva immaginare quell'orrore, pensando che la creatura fosse sua, ne fu contento e in tutti i modi volle che io non abortissi... Mi amava tanto e pensava che ciò mi avrebbe guarita dal terribile shock... Io la accettai come un supplizio che sarebbe durato sino alla morte, per pagare, ma non perché io ne abbia avuto colpa, figlia, te lo giuro, ma per autoespiazione, per odio contro il mio stesso cuore che, mentre quel diavolo demente e sanguinario mi possedeva, non ha cessato di battere, liberandomi da questa infamia.

Tu non puoi ricordare, Theanò mia. Avevi appena dodici anni e, chissà se te ne rammenti ancora, quella notte tu e Alexia avevate dormito in casa della compagna, Hillary Brooke, la figlia del console inglese che aveva fatto la festa di compleanno. Che giorni ho passato, che furia d'odio e di vergogna!... Quante volte ho guardato il faccino di tua so­rella Sophia, come una ladra, terrorizzata di scoprire in esso quei linea­menti orridi, detestati. Invece, ella mi rassomigliava e ti rassomigliava tanto, tranne che in quegli occhi verdi ed allucinati... come i suoi, bestia maledetta...

Poi, quando la bambina aveva quasi nove anni, tornò. Tua sorella Alexia era già via e tu sposata ed io credevo che almeno voi foste felici. Mi disse che sia lui che Silver sapevano dove tu stessi, dato che era stato Silver a vendere a tuo marito Reginald il castelletto, dove loro nascon­devano la roba rubata ed incontravano i loro sporchi compari. Al mo­mento dell'acquisto, Reginald non poteva immaginare che quei due fos­sero i fratellastri della madre di colei che sarebbe divenuta sua moglie: incautamente si era lasciato coinvolgere nella ricettazione di una partita di diamanti rubati e quindi fu ricattato.

Fu arrestato un giovane ebreo, un certo Jeremy Tigh, un marinaio facilmente irretito dai Bosas, e da lui si risalì al maledetto Hander che fu messo in prigione essendo il maggior responsabile del furto. Contro Silver non si trovarono prove sufficienti ed egli si dileguò. Ma prima impose a Reginald Kefrai di comprare a carissimo prezzo il castelletto, minacciandolo di spiattellare tutto. Inoltre, con diabolica astuzia, consi­gliato dal perfido che era in carcere, fece in modo che l'ingenuo giovane venisse qui a Mirakys. Erano speranzosi che Reginald, vedendoti, si sarebbe innamorato di te che eri tanto tanto bella. Ma tu eri partita per una lieta crociera che papà, ti ricordi, volle regalarti per un tuo brillante premio di pittura... Allora al primo scalo, con uno stratagemma, si unì ai croceristi Reginald Kefrai e la tua bellezza e la tua grazia, complici involontari, fecero realizzare il piano... V'innamoraste e vi sposaste,per andare a vivere in quel luogo in cui Silver prima e poi lui, avevano gli artigli. Sperava così di impossessarsi di una preziosa spilla...

Ma chi sapeva, chi poteva immaginare... chi minimamente intuire i truculenti raggiri di quel Satana? Carogna!!!

Quando ritornò, in seguito, mi disse tutto e minacciò di svelare a tuo padre, a te ed anche alla piccina la mostruosa verità. In cambio del silenzio voleva portarsi via Sophia che sosteneva avesse poteri magici, in quanto figlia del sole e della luna. In tutti i modi lo supplicai di non farlo, offrendogli tutte le cose preziose che avevo di mio, anche i regali più cari di tuo padre adorato. Se li prese, eccome! Ma poi ridendo con quella sua risata crudele e demenziale, ripeteva, roteando gli occhi iniettati di san­gue:

"La voglio, è mia, sennò io parlo, e poi la sgozzerò per sacrificio, bella luna!...".

Allora giurai di ammazzarlo e lo avrei fatto, ma quel bruto mi disse, quasi prevedendo, che se gli fosse successo qualcosa, sarebbe ar­rivata a te, a papà e a Sophia una lettera con prova certa che io ero stata la sua amante... Capisci che obbrobrio, che coltellata!... Qualsiasi cosa gli avrei dato, tranne che quell'innocente che già allora iniziava a mostra­re i primi segni del suo infamante male ereditario: la pazzia del padre, padre e zio!

Volevo morire, ma a che sarebbe servito? Avrebbe incrudelito ugualmente, anzi di più e certamente per la sua furia ossessiva, avrebbe ucciso Sophia. Allora scrissi a Silver che almeno non era pazzo, suppli­candolo di venire. Venne e gli narrai tutto, distrutta dalla vergogna e dalla disperazione per il ricatto. Silver, che pure era bieco e losco, inor­ridì, ma anch'egli fu impotente dinanzi alla malvagità pazzoide del fra­tello.

Intanto, tuo padre che era buono come un angelo, si stupiva e si preoccupava del mio terribile stato di depressione e vedeva di malocchio il soggiorno in casa nostra dei due fratellastri, anche se passavano poche ore in sua compagnia; tuttavia, nulla sapendo, li tollerava perché miei consanguinei. In quei giorni Sophia, sensibilissima, quasi presagendo con la sua spasmodica intuitività qualcosa di tragico, spaventata del­l'espansività aggressiva da pazzo, di quello che pensava essere lo zio, stette assai male, tanto che la dovemmo portare da uno psicologo... Questa dolente circostanza diede a Silver un'idea: disse di conoscere in America, nel Connecticut, a Soldlake, vicino alla cittadina di Stockwell, dove stavi tu, un bravissimo psicologo per l'infanzia che certamente avrebbe guarito la bambina.

Io, intanto, sempre febbricitante e dilaniata dal terrore che mi portassero via Sophia, ebbi delle forti crisi cardiache e stetti per morire. Mi ricoverarono d'urgenza in ospedale e colà dissero che avevo bisogno della calma più assoluta e della massima e continua assistenza medica. Silver succube del fratello ne approfittò e assicurò che alla bambina pensava lui: il mio Spyro poteva raggiungerli in seguito, appena io fossi stata meglio. Per allora, date le mie gravissime condizioni, era più oppor­tuno che restasse accanto a me. Così fu fatto, senza nulla dirmi per severa proibizione dei medici che temevano mi fosse nociva anche la più piccola emozione.

In clinica rimasi quasi due mesi ed ogni giorno, ossessivamente, domandavo di Sophia e chiedevo che me la portassero, perché volevo vederla. Ciò mi creava una continua spasmodica ansietà che peggiorava notevolmente la mia cardiopatia, sicché i medici, che certamente mai più immaginavano la tragedia che era alla base, consigliarono mio marito di dirmi la verità. Allora, veramente, fui lì lì per impazzire e i sanitari spaventatissimi temettero il peggio. Ahimè, non avevo che un pensiero: guarir presto per andar a riprendermi la mia Sophia, per salvarla, strap­pandola dalle miserabili brame di quel mostro.

Così, a poco a poco, con la forza delia disperazione ce la feci e tornai a casa. Tempestai dì telefonate Silver, supplicandolo dì riportarmi la bambina, ma egli diceva che ella che ormai stava assai meglio in salute, era contentissima di stare con lui e non voleva ritornare. Ciò andava bene per tuo papà, il quale, essendo all'oscuro dì tutto, credeva alle parole di Silver e riteneva, che ciò fosse meglio per il mio stato. Allora telefonai che sarei andata io stessa a riprendermi la piccina ed ecco, che quel miserabile demonio, Hander, come un avvoltoio maligno, calò qui e parlò... Capisci, disse tutto a tuo padre... e me lo ha ammaz­zato... Maledetto, maledetto, assassino maledetto! Tuo padre è morto di dolore, distrutto da quella cosa orrìbile che mai, mai avrebbe potuto immaginare.

Figlia mia, non è vero che si muore di dolore, perché, se così fosse, io non sarei ora qui a scriverti. Adesso sono un'ombra, pazza di disperazione e di rabbia e cerco la mia bambina che non vuole più tornare da me. Così mi dice al telefono, così mi scrive... Perché, dimmi, perché, forse sa la verità? Ti mando questo certificato di nascita, cercala, trovala e faglielo vedere. Aiutami! Se ti accorgi che sa, dille che io, quando stavo per morire, ti ho giurato che qualsiasi infamia di Hander non è vera, per pietà fallo.

Figlie, figlie mie, perdono! Theanò, perdonami che non ho colpa ed ama Sophia che non deve essere macchiata da quella nascita infame.

Quell'angelo di tua sorella Alexia che è nella pace del Signore, per fortuna non ha mai saputo di questa orribile tragedia. La tua mamma, addio".

 

 

 

 

CAPITOLO 3



Sprofondavo in un oceano di ghiaccio e di fuoco, né mai orrido fantastico poteva da me essere paragonato a ciò che avevo letto. Mi sembrò che il cervello serrato in un cerchio di tortura mi si spaccasse e, barcollando, andai in bagno: mi veniva da rimettere e sputar veleno...

Mi lavai il viso e quell'acqua fresca mi diede un certo sollievo fisico. Pensai di telefonare immediatamente a David O'Connor, il pasto­re, mentre una forza gelata mi induriva dentro, dandomi una corazza di raccapriccio...

Non avevo parole, non avevo pensieri ed anche il sangue pareva avermi abbandonato... dinanzi a simili rivelazioni che svelano gli abissi della bestialità umana più spaventevole, l'anima si spacca e precipita nel nero più nero. Era tale e tanta l'incommensurabilità di questo baratro di aberrazione svelato da quell'infelice, che mi sembrava di vivere la storia irreale, di un'entità al di fuori dell'umano, anzi, l'incubo di un altro, da cui, svegliandomi, avrei potuto fuggire.

Così, dunque, sommerse in quella fogna di matta bestialità, d'inimmaginabile demente crudeltà, potevano sprofondare belve accecate dai loro selvaggi istinti?! I valori dell'anima, le conquiste dell'intelligen­za, i tesori dello spirito possono quindi essere obliati, cancellati, distrutti a tal punto da macchiarsi di sì orribili delitti contro natura? Mi sentivo colpito al cuore, incapace di riannodare i fili della ragione per reinserirmi in questo mondo abietto e malato a tal punto che in un giorno, in un luogo come tanti, come tutti, tanta malvagità, tanta esecrabile lussuria poteva scatenarsi.

Ormai sapevo quasi tutto di quella demoniaca vicenda in cui ero incappato e i miasmi putridi di quei retroscena mi soffocavano...

Come una macchina scarica andai al telefono e chiamai David O'Connor. Dalla sua voce assonnata capii che stava dormendo e che quindi era notte. Le ore, forse, pietose dell'annebbiamento dell'anima mia, erano fuggite piano, srotolandomi attorno i veli della notte per nascondere la mia vergogna e il loro rossore...

Con voce che non mi sembrava la mia, formulai senza tono, con la sfinitezza di chi ha superato anche l'ultima lamina del dolore: "Vieni, vieni, subito vieni". Egli si spaventò e, con grande ansia, mi domandò cosa fosse successo. Ma io non riuscivo a parlare, quasi che il condotto salivare fosse del tutto secco e sui miei sensi, su tutto me stesso, come un macigno, pesava quello scritto e nella testa, come vespe impazzite, ronzavano quelle strazianti parole. E pungevano, iniettandomi il veleno di parole nere e rosse, di fango e di sangue - ...la sorella, violentava la sorella... Tagliuzzava il suo corpo e beveva il sangue... E rideva... e che ha fatto alla figlia?... E a Selenya? Che?... -

Non so se dissi queste parole che mi turbinavano dentro, lacerando il mio cervello. So che egli mi chiese, spaventatissimo: "Hai saputo di Selenya?". Gorgogliai un no che era un gemito di fiamma e, poi, tutta la tensione, tutta la disperazione, tutto il disgusto di quella cappa putrida che mi era caduta addosso si sciolsero ed io scoppiai in un pianto irrefrenabile. Il pastore era veramente angosciato e, più che chiedermi, tentava di calmarmi. Comunque mi disse che sarebbe arrivato prima possibile...

Tornato presso la poltrona, mi raggomitolai in essa, lasciando a terra i fogli. Chiusi gli occhi e in una nebbia lieve di sfinimento, senza agganci cronologici, mi apparvero immagini della mia vita passata... Mi fu accanto mia madre, con quel suo sorriso buono e gli occhi azzurri, un po' miopi, che si sapevano colmare di gioia e di candido stupore dinanzi a tutte le cose belle del creato... Ed ecco mio padre, alto e magrissimo, con quei buffi occhiali, sempre alzati sulla fronte... diceva che per ve­dere il Signore non c'era bisogno di lenti... Li rividi in cento attimi di dolce, intima affettuosità familiare... Papà che faceva il culto in chiesa e la mamma che con tanta semplicità serviva a tavola le vecchiette... e poi, quel Natale. La zia Meg, impacciata e felice, con quel vestito a righine verdi e marroni che le aveva regalato lo zio Martin... E Selenya, ah, Selenya, con quei riccioli neri, fermati dietro da un bel fiocco di velluto rosa, rosa come la camicetta che indossava e come quella sua boccuccia che sorrideva poco, quasi fosse timida di mostrare il lucente biancore dei suoi denti candidi... Immagini su immagini, tutte con il loro profumo semplice e pulito, tutte ignare di quanto il male possa profanare l'anima dell'uomo, se mai uomo si può ancora chiamare chi commette nefandezze sì orribili...

Come in una specie di ipnosi autoimposta annebbiai il lento defluire del tempo... Albeggiò... E un tramonto stanco sostò sul davan­zale del giorno morente... Alla mia porta bussò David O'Connor. Aprii e dal modo allibito e spaventatissimo con cui egli mi guardò, compresi quale dovesse essere il mio aspetto. Lo feci entrare ed accomodare nel salottino. Riuscii a dirgli: "Grazie che sei venuto" e andai di là a pren­dergli quei fogli che gli porsi in silenzio.

Lesse e il suo volto, già pallido, diveniva sempre più terreo e sbigottito. Ad un certo punto emise un gemito e lasciò cadere i fogli sulle gambe. Tremando violentemente, si raccolse su sé stesso e sentii che mormorava con un filo di voce densa di pianto: "Signore, perdona, per­dona se puoi... O mio Dio, mio Dio, pietà...".

Un silenzio, trafitto da quel cocente dolore, era tra noi... Livido e con le labbra serrate convulsamente per non piangere, riprese in mano le carte, ma dopo una breve lettura, scoppiò in un pianto disperato, mormo­rando: "Sophia, mia piccola adorata, mia dolce Sophia... Non sapevo, mai, mai avrei pensato una cosa simile, oh, sì, cara...".

Io, fiaccato da tante emozioni, non trovavo parole e poi, quale parola mai poteva dare conforto? Me ne stavo lì, seduto immobile, duro con dentro quello schianto, quella repulsa di tutto il mio essere a quel­l'orribile realtà. Innanzi, su uno schermo abbacinato dalle lacrime, avevo Selenya, col suo bel corpo flagellato, torturato... certo le medesime mostruose torture, gli stessi orripilanti martiri, perpetrati da quel satana sul corpo della sventurata madre di Theanò, della nonna di Selenya... Ed infine, ecco cosa era quell'orribile puzza che si sentiva continuamente al castelletto: era la droga che quel bruto forse sì confezionava o chissà dove prendeva, per eccitarsi nelle sue sciagurate turpitudini di sesso...

Quella verità che neppure il genio più mefistofelico e depravato avrebbe potuto immaginare, ora ci era nota, in tutti i suoi miserabili meandri, ma a che serviva? Selenya dov'era? Ancora tra le brame lussuriose e bestiali di quel Bosas?... Come allucinanti figurine cinesi, in parossistica corsa, supposizioni su supposizioni mi ruotavano vorticosa­mente nella mente ed io ero lì, sopraffatto ed incapace di progettare azioni. Dopo quanto non so, vidi che l'ombra scarna ed accasciata del pastore si alzava e prendeva la rubrica telefonica. Fece un numero e con voce rotta di vecchio chiese fiocamente: "Quando parte il primo aereo per la Grecia? Prenotiamo due biglietti per Atene, con qualsiasi scalo, purché sia presto...". Mi alzai e lo abbracciai e, come due naufraghi nell'ultimo appiglio, ci stringemmo l'uno all'altro, un solo cuore, una sola volontà in quella terribile ora di prova suprema...

La Grecia mi sembrò posta in un'altra galassia e distante dal­l'America milioni e milioni di anni luce!

David era seduto accanto a me ed aveva in mano la Bibbia, ma non leggeva: con gli occhi persi nel vuoto, senza vedere, senza sentire, era una cosa sola con il suo dolore, con il suo sbigottimento... Io, come un trapezista, meccanicamente, altalenavo la mia mente su due fuochi: devo, assolutamente, devo ritrovare Selenya, devo, sì, devo uccidere quel mostro!...

 

 

                                                                                                                                                                                                                                                                    torna a indice