Capitolo I Le origini di Stilo
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“Finalmente, alle nove del mattino, entreranno in una delle città più straordinarie d’Italia, protetta da nord a sud, baciata dal riverbero dei raggi del sole, circondata da tutti i lati da masse di rocce nude, appollaiata all’altezza dei nidi delle aquile, inesauribile miniera di ricchezza e di ricordi…”. Così scriveva di Stilo il 27 giugno del 1812 lo scrittore francese Astolphe de Custine nel corso del suo viaggio in Calabria.
La Illustrissima Civitas Styli è senza dubbio una delle località più belle e visitate della “terra dei Bruzi”: non si contano i poeti che sono stati affascinati dalla disposizione delle sue case (addossate l’una all’altra e spartite da vicoli e viuzze), che sorgono “dove l’oro della ginestra sposa il sangue mite degli oleandri” o i viaggiatori stranieri che l’hanno paragonata “a un palinsesto, a un raro manoscritto su cui innumerevoli generazioni di popoli e conquistatori hanno inciso la fantasia e l’arte della loro vita quotidiana”.
Molti sono gli scrittori, gli storici e gli studiosi, che hanno coniato flash giornalistici e slogan per meglio presentare quella che l’Abate Pacichelli chiamò “Città privilegiata”. “Cittade vescovil, vetusta e regia”(per un Anonimo), “terrasanta del basilianesimo e del bizantinismo”(per Paolo Orsi), “il paese più bello del mondo”(per L.P.Courier), “il luogo più illustre della Calabria”(per Alberto Savinio), “un mondo da penetrare”(per Emilia Zinzi), fu per Mario Squillace “antica e ancor bella signora”. Dipinta come “incantevole borgo” da Giuseppe Grazzini e “una città viva con pietre che parlano” da Anne Mudry, è vista dagli stilesi Mimmo Scarfò e Francesco Sorgiovanni “alta, ambiziosa, fiera dei suoi secoli di storia” e, “piena di misteri e segreti intriganti”.
Situata sul versante nord orientale della provincia di Reggio Calabria, Stilo sembra scolpita sulla parete del monte Consolino, che per la sua forma tondeggiante (o pan di zucchero), dà l’immagine di un gran cuore. Il centro abitato, posto a gradinata, su un terrazzamento( ad anfiteatro), a 400 m. sul livello del mare, osservato dall’alto, assume l’aspetto di un enorme ferro di cavallo e conserva intatto, con il suo borgo e i resti delle sue torri e della cinta muraria, la struttura tipica medievale. Gloriosa e misconosciuta la storia di questa città, che richiama alla mente i commenti di Francesco Lenormant (“Non sono poche le città calabresi nella cui storia sono moltissime le favole e, di converso, poco note le pagine conosciute della loro vita”) e di Isnardi (“Nessun paese d’Italia mi sembra così atto a dare la sensazione continua dell’infinito, dell’irraggiungibilità, del lontano, dell’ignoto”).
La sua origine è avvolta nel mistero, reso ancor più problematico dalla distruzione dell’archivio della cittadina (dato alle fiamme durante il saccheggio operato il 29 agosto del 1806 dalle soldataglie francesi) e da una recente lettura storica e archeologica del territorio della vallata dello Stilaro, tesa soprattutto a documentare cronologicamente gli antichi percorsi della civiltà magno - greca, bruzia, romana e bizantina ed effettuata dall’archeologo Francesco A. Cuteri, dal prof. Danilo Franco e dall’arch. Giorgio Metastasio, diretti nella loro indagine dall’ispettrice della Soprintendenza Archeologica della Calabria, Maria Teresa Iannelli, e del prof. Gian Piero Givigliano, direttore del Laboratorio di cartografia storica dell’Università della Calabria.
I tre ricercatori hanno infatti individuato sul territorio stilese alcuni siti di civiltà rupestre in cui sono evidenti i “segni” di lunghe frequentazioni. “Gli insediamenti – si legge in uno studio ancora inedito – possono essere classificati secondo tre ordini tipologici: nel primo, rientra un gruppo di sedici grotte localizzate nella massa calcarea del monte Consolino, in linea con la Cattolica, riferibili al cosiddetto laurito di Stilo e alle migrazioni monastiche del VII – VIII secolo; nel secondo, un nucleo di cellule abitative trogloditiche interamente cavate nel banco di arenaria sul quale è anche fondato il centro storico dell’abitato di Stilo, caratterizzate da ambienti monocellulari completi di sedili, nicchie e buche per l’alloggiamento di pali e la chiusura dall’esterno e da un sistema di cuniculi e di canali, utilizzato anche per la captazione e l’adduzione di acque di origine freatica; nell’ultimo, un gruppo di grotte adibito al controllo e allo sfruttamento territoriale e situato lungo il percorso dello Stilaro, in punti naturalmente strategici”.
I rinvenimenti relativi al secondo gruppo hanno un importanza fondamentale per la datazione delle origini della cittadina, fermatasi all’anno Mille, ma che certamente potrebbe ora essere ricondotta all’Era del Bronzo o, comunque, a forme di vita indigena, tenuto anche conto delle scoperte archeologiche di contrada Loco e Cattolica, dove sono state messe in luce tombe a incenerizione e altri reperti ascrivibili al IV sec. a.C.
La lettura archeologica operata dai tre studiosi non può essere sottovalutata, confortata com’è da un assunto serio e autorevole (quello di Sabatino Moscati) , che, avallando le ricerche di Cosimo Damiano Fonseca sulle civiltà rupestri pugliesi e del Mezzogiorno d’Italia, dà nuova linfa e giustificazione al lavoro di chi, da anni, cerca di riscrivere la storia di Stilo. “ E’ ormai chiaro che gli insediamenti su pareti di roccia, ampiamente diffusi in età medievale, non sono affatto luoghi di sottosviluppo trogloditico sui quali “galleggiano” (solo) manifestazioni pittoriche di cripte e cenobi religiosi: essi sono, all’opposto, veri e propri aggregati urbani, scelti in alternativa alle città che venivano abbandonate e tali da sostituirne, in una programmazione intenzionale, strutture e funzioni…(Ecco perché) occorre riconsiderare la natura e i caratteri del vivere in grotte. La scelta di un tale tipo di insediamento può essere derivata da convenienza economica o da necessità di difesa. Ma nell’uno e nell’altro caso, vi è la scelta di un modo di abitare diverso, nel quale la città tradizionale non rappresenta più l’unica soluzione…”(Sabatino Moscati, Italia ricomparsa, Touring Club Italiano, 1984, pp. 130 – 131).
Dello stesso parere è Salvatore Gemelli, che, studiando gli insediamenti rupestri di Gerace, ha scritto: “In via ipotetica, possiamo dire che successivamente ad un tentativo di popolamento effettuato in fase preistorica, Gerace (e, quindi, Stilo) si sia sviluppata a partire da un nucleo demografico raccoltosi attorno a strutture militari o religiose di età magnogreca o romana…La civiltà cavernicola, enormemente sviluppatasi dal basso impero alla prima metà del medioevo, fu, molto probabilmente, stimolata alla transizione verso il definitivo inurbamento allorchè le coste ioniche divennero del tutto insicure e l’arroccamento sembrò l’unica forma di insediamento efficace per sopravvivere”( Salvatore Gemelli, Gerace, paradiso d’Europa, Frama Sud, 1983, p.203).
Tutti gli scrittori di cose calabresi quali il Barrio, il Marafioti, il Leoni, il Fiore, il Barillaro e il Cunsolo, sono tuttavia dell’opinione che la nascita di Stilo, che ebbe i nomi di Stilida, Cocinto, Cursano e Cosilino, e forse, quello di Rigusa o Ribusa, è strettamente legata alle vicende di Caulonia greca, distrutta da Dionisio il Vecchio nel 389 a.C.(“Il sito della città magnogreca- scrive Maria Teresa Iannelli, in un foglio illustrativo stampato dall’Associazione calabrese di Archeologia Industriale di Bivongi – fu identificato, nell’attuale Monasterace Marina, da Paolo Orsi all’inizio del nostro secolo. Le fonti storiche non concordano sulla fondazione: alcune, come Strabone e Pausania, la considerano colonia achea, altri, riconducibili a Pseudo Scymno, Solino e Stefano di Bisanzio, la dicono colonia crotoniate. Gli scavi archeologici degli anni ’80 hanno permesso di fissarne la datazione a non oltre l’inizio del VII sec. a.C. Fino ad oggi della città antica si sono rinvenuti: la cinta muraria, i quartieri dell’abitato risalenti a dopo il 389 a.C. e tre aree sacre, oltre ad una delle necropoli…”).
Apollinare Agresta afferma che “per trovare la prima origine di questa città fa d’uopo scendere giù al mare nel Promontorio Cocinto, detto Capo di Stilo”. Sebbene Strabone, parlando di Caulonia, la chiami E’remos e Plinio ne ricordi solo le rovine(“vestigia oppidi Caulonis”), essa, per Cunsolo, fu viva anche durante l’Impero, divenendo, cioè, stazione itineraria lungo la via Aquilia (la via consolare Reggio – Taranto), come si ha dalla Tabula Peutingeriana, dal geografo Ravennate e dall’Itinerario Marittimo Antoniniano, che, per la prima volta, riporta il nome di Stilida (cfr. pure G.P. Givigliano, Percorsi e strade, in Storia della Calabria Antica. Età italica e romana, Roma – Reggio C., 1994, pp. 52 sgg.).
Il nome di Stilo, e propriamente Stillo, si legge anche nel Portolano della maggior parte de’ luoghi da stazionar navi…: “ A miglia trenta ( da Bianco) Capo Stillo, come di sopra”, cioè, senza riparo (P. Orsi, San Giovanni Vecchio di Stilo, 1914). L’indicazione di Stilo si trova pure nella carta nautica del portoghese Diego Homen, che risulta conservata nella Biblioteca Marciana.
“La toponomastica calabrese è il più sicuro contributo alla storia del nostro alto medioevo: abbiamo nello stesso nome di Stilida o Stilo una più chiara conferma della derivazione di esso da Caulonia. Infatti non è difficile ammettere che la parola Stulidos dell’Itinerario marittimo e poi le altre stulos e stylos siano derivate da una qualche colonna superstite delle quaranta che l’Orsi, ricostruendolo, congettura possano avere adornato il tempio di Caulonia (innalzato, secondo alcuni, a Giove Omorio in pegno di pace tra le repubbliche di Sybaris, Kroton e Lokron e, secondo altri, ad Apollo Katharsios), così come il nome di Capocolonna o Nao (Naòs, tempio) discende dal ricordo del tempio di Giunone Lacinia e dall’unica colonna ivi ancora esistente” (Luigi Cunsolo, Rapsodie, Tip. G. Froggio, Monteleone, 1992, p. 13).
La sua denominazione – scrive a tal proposito Lorenzo Giustiniani nel Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli, Tomo IX, 1805 – taluni la fanno derivare dal fiume Stilaro, che le scorre ai fianchi, o piuttosto da Stylon, cioè Columna. Meno probabile l’ipotesi che a suggerire tal nome sia stata la forma del monte Consolino, “tagliato da due gole profonde, e dalla parte del fiume erto in ardua mole solitaria”. Questa tesi è sostenuta invece da Giorgio Metastasio: “Il monte Consolino, tipicamente a forma di colonna, si era attirato, da parte dei Greci, l’appellativo di monte Stylos, da cui poi il nome alla città”.
Ma perché non pensare, ad esempio, ad un altro significato simbolico, che verrebbe suffragato dall’immagine che la città “dà” a chi l’osserva e dalla sua posizione elevata, “alta, come colonna”? E’ d’aiuto, in tal senso, il pensiero di Gemelli, che, a proposito del nome di Gerace, così scrive: “Il nome di Gerace è chiaramente legato, dal punto di vista etimologico, con il nome del volatile Ierakion, falchetto, sparviero. Il concetto di falco (di uccello che suole librarsi, cioè, nell’alto dei cieli e nidificare negli anfratti delle sporgenze rocciose eminenti) è stato adoperato molto di frequente e dovunque per designare località collocate in alture di qualsiasi entità” (S. Gemelli, Gerace, op. cit., p. 198). Oscuratosi, quindi, il nome di Caulonia e risorta sul luogo Stilida, sia come borgata, sia come stazione costiera che a mano a mano si avviava a crescere d’importanza, “essa ebbe latino l’ordinamento politico – sociale dal principio del IV sec. alla caduta dell’Impero romano d’ Occidente (476 d. C.) e da Odoacre alla caduta del Regno Ostrogoto (553 d. C.)…La regione brezio–lucana intanto, che formava una sola provincia, non tardò ad essere sconvolta dalle lotte tra Longobardi e Bizantini. Il soggiorno dei Longobardi fu piuttosto lungo: nel 589 Autari si spinse fino a Reggio e nel 596 fu espugnata Crotone. Soltanto nella prima metà del sec. VIII i Bizantini riconquistarono l’intera regione.
In quel tempo Stilida ubbidiva allo stratego che dimorava ora a Reggio, ora a Rossano” (L. Cunsolo, La storia di Stilo e del suo regio demanio, Reggio, Gangemi, 1987, pp. 27 –28). Se “le vestigia delle sue rovinate abitazioni…veraci testimonii della di lei passata magnificenza” rimandano all’antica Caulonia, incerte sono le modalità di trasferimento dell’abitato, che cambiò ubicazione più di una volta a causa delle incursioni dei Saraceni e delle condizioni non certo favorevoli delle zone rivierasche( soprattutto nel tratto ionico meridionale), che erano poco accoglienti per via della malaria e della conformazione geo – morfologica dei luoghi.
Giuseppe Crea, storico stilese della prima metà del XIX secolo, afferma: “le popolazioni disperse cercarono asilo nelle valli remote e in sito montano. I più pavidi si inselvarono in fondo a sconosciute vallate”. Uno rimase però il comun sentire, che non tardò a concretizzarsi nella famosa Contea di Stilo, di cui faranno parte, oltre a Stilo, i casali di Guardavalle, Pazzano, Stignano, Riace e Camini.
La cittadina conobbe nel corso dei secoli le dominazioni di Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli e Borboni.
Ebbe un’autonomia territoriale, divenendo sotto il dominio Normanno, città di regio demanio (mantenne tale privilegio fino all’abolizione della feudalità, nel 1806). La vera storia di Stilo ha pertanto inizio con i Normanni (Nordmanner, cioè Uomini del Nord), con l’avvento dei “nuovi potentissimi signori” ai quali Stilo oppose fiera resistenza, protrattasi per ben sei anni, poiché cessò soltanto nel 1071. Questo fatto, ricorda Cunsolo, è la conferma che la cittadina doveva avere già la sua forte cinta urbana, con non meno di cinque porte di accesso: Porta Stefanina, Porta Terra, Porta Reale, Porta Scanza li Gutti, Porta Cacari (cfr. La storia di Stilo…, op. cit.).
Del resto, già in un documento del 7 maggio 1093, relativo ad una concessione di territori da parte del Conte Ruggero a San Bruno, la città è indicata con il termine di oppidum, con cui veniva denominata appunto una città retta da particolare stato giuridico. L’ordinamento amministrativo – ricorda lo storico stilese – permetteva alla Università Regia ed ai vocali dei casali da questa dipendenti, di governarsi con leggi e regolamenti propri (emanazione, le une e gli altri, di un pubblico parlamento), ai quali il re apponeva soltanto il placet majestatis, come sanzione giuridica e come segno dell’unità politica esistente pur sempre tra i vari organismi autonomi dello Stato. Il popolo era diviso in tre classi sociali: i nobili, i civili – detti anche onorati -, i popolari. Ciascuna eleggeva il suo sindaco. A scrutinio segreto, con il mezzo del bottone, con quadratini di carta e con fave bianche et negre in pubbliche riunioni, convocate, pulsante campana…”.
L’Università di Stilo fu sempre gelosa della sua demanialità regia e lottò energicamente per tale sua autonomia amministrativa – a ciò allude anche il motto del suo stemma araldico: sanguinis praetio – e per la difesa delle sue tradizioni (per G. Rohlfs non vi sono dubbi sulla continuità della lingua greca in Calabria, mentre p. F. Russo è dell’avviso che “sino alla fine del secolo VI il Brutio era latino nella lingua, nella liturgia e nelle istituzioni…”). Ad attirare le mire dei Normanni sulla piccola Stilo greca, tutta impregnata di gusti e di sentimenti orientali e a determinare la fiera reazione del popolo stilese alla nuova invasione straniera fu soprattutto la presenza sul suo territorio dei monaci italo – greci e, forse, della Cattolica, tempietto bizantino, che, a chi giungeva dal mare, appariva “custodito nel suo nido di roccia, come una teca preziosa”.