La Famiglia Morra
La
famiglia ch’ebbe antica signoria in Morra e certamente una delle piu
antiche, delle piu nobili, delle piu illustri del Napoletano. Senza
ricorrere, coi puntelli di Procopio, di Flavio Biondo, di Pandolfo
Collenuccio fino a Giambattista Carrafa e a Giovan Francesco De Rossi, che
citano il nome d’un duce Morra fra i Goti, fino al sesto secolo
dell’era volgare, perché quel Morra rimane quindi isolato e senza
alcuna successione certa, per molti secoli del medio evo, si può, con
maggiore probabilità, fermarsi alla notizia genealogica di due fratelli
tedeschi Iachis o Giacomo e Giovanni, che, sotto la signoria de' Normanni,
per le terre da loro occupate, Morra tra gli Irpini, e Sanseverino,
avrebbero dato origine alle due famiglie dei Morra e dei Sanseverino
principi di Salerno, da un Giacomo I, signore di Morra, e da un Giovanni
principe di Sanseverino. Le due grandi famiglie rimasero quindi unite non
solo nel parentado, ma anche nello vicende storiche, come vedremo,
toccando del padre della nostra Isabella Morra, il quale precedette in
Francia le sorti del principe di Salerno, passato piu tardi al servizio
del re Enrico II.
In ogni modo, sotto il regno di Ruggero I, normanno, si nota già il nome
di un suo capitano signore di Morra, chiamato Roberto, ch’ ebbe un
figlio di nome Sertorio, dal quale nacque il futuro cardinale Alberto di
Morra che nel 1187 assunse la tiara col nome di Gregorio VIII.
Ed a quel tempo, cioè dalla prima conquista di Morra, fatta dal duce
germanico Iachis, Marcantonio Morra fa risalire anche lo stemma della
famiglia, composto, in campo rosso, di due spada d’argento sguainate con
la punta all’ ingiù, incrociate al modo della croce di Sant’Andrea,
accompagnate nei vani da quattro girelle di sperone d’oro che da taluni
araldisti furono scambiati per stelle. Il palo d’argento, che fu poi
aggiunto allo stemma dai principi di Morra recante due tiare allude al
pontificato di Gregorio VIII, che era un Morra, e a Vittore III, che fu un
Epifanio, di una famiglia nella quale la numerosa discendenza dei Morra si
era sdoppiata.
Marcantonio Morra, regio consigliere, che, nell'anno 1629, pubblicò a
Napoli la sua Familiae Nobilissimae De Morra historia in cento pagine,
rileva i nomi dei Morra che in alcun modo s’illustrarono. Ma, giunto al
fine della sua enumerazione, dopo gli ultimi disastri della sua famiglia,
esclamava mestamente: " Faxit Deus Optimus Maximus, e cuius quic quid
optabile est largissima profluit manu, ut in eius gloriarn cedat, quod in
familiae nostrae cessit decus, et in constanti rerum humanarum
inconstantia, posterorum sit qam parentum fortuna constantior, neque ab
eius loci Imperio rursum decidant quos, praeter omnium spem, ad eiusdem
Imperium, noster qualiscumque labor, erexit "; e, con tal voto, per i
suoi successori, ringrazia Dio per avergli permesso, nella sua vecchiaia,
di condurre a felice termine la storia della sua famiglia, e d’aver così
meritato di vedere per opera sua, "Domum familiae, familiamque Domui
restitutam", ossia d’avere in alcun modo ricomposta la propria
famiglia in signoria. Invero, se, nella seconda metà del Cinquecento, la
famiglia Morra pareva dovere essere dispersa nella sua rovina, troviamo
che si ricostituì e rifulse di nuovo in parecchi rami, nel Seicento,
acquistando nel 1617 il ducato di Bovalino, nel 1627 il marchesato di
Monterocchetta (titolo che spetta tuttora ai viventi fratelli Morra) e in
Sicilia il principato di Buccheri; nel 1630 il ducato di San Martino; nel
1644 il ducato di Magniti e quello di Belforte; nel 1644 il principato di
Morra; nel I673 il ducato di Calvizzano; nel 1679 il ducato di Mancusi, e
altri feudi ancora successivamente.
E che, nel Settecento, la famiglia dei Morra fosse tuttora potente e
chiarissima, lo possiamo argomentare dal matrimonio di un’altra Isabella
Morra, scrittrice ( Isabella, figlia di Goffredo dei principi di Morria),
che, nel 1707, andava sposa al duca Gaetano Caracciolo di Venosa e che,
essendo vecchia, pubblicava nel 1758, a Napoli, la Cronologia dei signori
Caraccioli del Sole, ove ricordando la propria famiglia, la diceva
illustre ed antichissima, e ricordava poi, con uguale compiacenza, come
suo marito aveva, nel I726, comprato e restaurato, nel vicino casale di
Afragola, il castello della regina Giovanna, che vi si spassava, nel tempo
delle caccie, col suo favorito siniscalco Sergianni Caracciolo, in memoria
del suo famoso antenato, ma anche " per avervi alcun tempo ne’
primi anni del suo sposalizio con piacere abitato".
Ed ora, per il nostro assunto storico e biografico, in quanto riguarda i
casi infelici della poetessa Isabella Morra, compendierò le notizie che
trovo nel libro di Marcantonio Morra, le quali per essere state scritte in
latino, in un libro di genealogie, che di solito offre interesse per la
sola famiglia di cui si tesse la storia, passarono inavvertiti agli
storici della nostra letteratura.
Giovanni Michele Morra signore di una terra baronale sul fiume Siri o
Sinno, detta Favale, vivo ancora il padre, avea sposata Luisa Brancaccio,
da cui ebbe sei figli maschi: Marcantonio, Scipione, Cesare, Decio, Fabio,
Camillo, tutti grandi nomi dell’antica storia romana, che dimostrano
quali spiriti magnanimi di fiera latinità fossero in lui, e due femmine:
Isabella la nostra infelicissima donzella, e Porzia, che in età matura,
fu sposata ad un avvocato di nome Fabio Bucino.
Giovanni Michele Morra fu, come ci fa conoscere il genealogista della
famiglia, quantunque di picciol corpo di grande animo. Il principe di
Salerno, suo parente lontano, era strapotente nel proprio Stato; e
possedendo presso la baronia di Favale il castello di Rotondello, ebbe a
lagnarsi dei Morra, perchè avesse invaso alcune terre della castellania,
e maltrattati i suoi ministri. Avvenne allora, nel 1527, l’invasione dei
Francesi nel Regno. Il principe di Salerno sostenendo allora le parti
imperiali, il signore di Favale, fidando nella vittoria dei Francesi, si
era profferto ai condottieri di Francia. Vinti e cacciati i Francesi dal
Regno, Giovanni Michele Morra, per timore anche dell’odio del principe
di Salerno o forse perchè la confiscata signoria di Favale potesse piu
facilmente tornare ai figli, che non avevano presa alcuna parte alla
defezione, se ne dovette fuggire nell’agosto del 1528 a Roma, e di là,
poco dopo, in Francia. Allora il primogenito Marcantonio per indulto
imperiale, potè rientrare nella signoria di Favale con tutti i suoi fondi
(cum suis feudis omnibus); e lo stesso Giovanni Michele sarebbe stato
restituito in tutti i suoi onori, quando egli fosse tornato a
giustificarsi, ma egli temette forse di alcun tradimento e non tornò più,
eleggendosi un volontario esiglio, e traendo seco il secondogenito
Scipione, giovinetto di sommo ingegno, di tenace memoria, nutrito di buone
lettere e specialmente erudito nel latino e nel greco, che il padre aveva
lasciato a perfezionarsi negli studi a Roma, onde l’ambasciatore di
Francia presso la Santa Sede ebbe occasione di ammirarlo e quindi
richiamarlo con sè presso il padre a Parigi, dove lo troviamo finalmente
segretario della regina di Francia, Caterina de’ Medici. "
Frattanto", prosegue il genealogista della famiglia Morra, " il
destino percosse ed agitò più crudelmente il resto della famiglia,
rimanendo la Brancaccio, nella terra di Favale (nell’assenza del marito
e del figlio Scipione), con gli altri figli che le rimanevano,
Marcantonio, Decio, Fabio, già maggiorenni, Camillo, ancora fanciullo,
oltre ad Isabella (che era coetanea del fratello Scipione, col quale avea
mirabilmente approfittato negli studi, e che, superando il proprio sesso,
si era procacciato gran nome specialmente nella poesia, in paesi vicini e
lontani e di cui si leggono ancora alcune poesie toscane, in un volume di
poetesse illustri, e Porzia, l’ultima nata. Sorgeva poco distante dalla
terra di Favale, il castello di Bollita, di cui era, signore Don Diego de
Castro, nobilissimo spagnuolo, marito di Donna Antonia Caracciolo, dalla
quale avea ricevuto in dote que1 luogo forte, essendo egli prefetto di
Taranto. Essendo pervenuto all’orecchio che Don Diego, per mezzo di un
pedagogo, avea mandato una lettera con versi ad Isabella, alle mani della
quale è certo che pervenne, solamente intitolata al nome della moglie di
Don Diego, ma che essa non lesse, perchè i fratelli la vollero avere,
ancora chiusa, dicendo Isabella che l’avea ricevuta, in nome di Donna
Antonia, i fratelli che il luogo agreste avea reso ferini e barbari, senza
indugio, ferocemente uccisero il pedagogo, e quindi pugnalarono la
sorella, quando si persuasero che Don Diego fatto consapevole della
lettera intercettata, sollecitava il governatore della provincia (della
Basilicata), perchè sottraesse Isabella dalle mani dei fratelli. Allora
essi, uccisa la sorella, posero ogni loro intento alla morte di Diego, se
bene questi già temesse la loro ferocia, e la natura selvaggia, così
che, mentre si conduceva a Taranto e tornava, come spesso soleva, a
Bollita per visitarvi sua moglie con una scorta d’armati in un luogo
verso Noa, a tre miglia da Favale, dove egli dovea necessariamente
passare, dopo essersi messi da piu giorni in agguato in luogo occulto atto
alle insidie, balzando fuori all’improvviso, con 6 colpi, lo trucidarono
mettendo in fuga 1a scorta. A questo misfatto intervennero i fratelli
Cesare, Fabio e Decio con gli zii Cornelio e Baldassino, contro i quali
inveì allora la persecuzione de’ giudici, di modo che tutta la regione
percorsa da gente armata, fu devastata per più mesi, per ordine del vicerè
Don Pedro di Toledo.
E poichè lo sdegno del principe non solo col tempo non si calmava ma
cresceva, i fratelli d’Isabella, lasciato il Reame di Napoli si recarono
in Francia, presso il padre con il fratello Scipione allora già
segretario della Regina. Scipione Morra, quantunque si lagnasse fortemente
della morte della sorella, quantunque ne rimproverasse i fratelli,
tuttavia non ricusò di aiutarli. Il padre era già morto da alcuni anni,
quando,assicurato della restituzione de’ beni, si preparava a fare
ritorno nelle sue terre; e Scipione ottenne per il fratello Decio, che si
era fatto frate nella provincia di Limoges, dalla Regina di Francia, in
quella stessa provincia, l’Abbazia vescovile degli Agostiniani detta
Beneventana, col reddito annuo di quattromilaquattrocento scudi d’oro;
fece sposare il fratello Cesare con la gentildonna Gabriella Falcori, che
le portò in dote il castello di Ciamora, presso quell’Abbazia; ma gli
invidi cortigiani, vedendo tanto favore di Scipione Morra presso la
Regina, avvelenarono il favorito, del che Caterina de’ Medici fortemente
si sdegnò e si volse a punire i colpevoli. Il genealogista soggiunge che
Decio e Cesare Morra erano ancora vivi nel 1600; che Cesare ebbe due
figli, de’ quali Orazio tornò in Italia, e passò parecchi giorni a
Favale, dove conobbe il genealogista Marcantonio, dicendogli. ‘prima di
tornare in Francia, ch’egli avea un fratello di nome Carlo ed una
sorella di nome Goffreda.
Quanto al fratello primogenito d’Isabella, Marcantonio, egli, come
autore principale dell’eccidio del pedagogo, della sorella e di Don
Diego fu preso e incarcerato; tuttavia, dopo lunga prigionia venne
relegato a Taranto; infine, liberato dalla relegazione, se ne potè
ritornare a casa, e rientrare ne’ suoi beni sposando Verdella Capece
Galeota, ond' egli ebbe parecchi figli: Fabrizio, Giovanni Michele,
Prospero, Scipione, Orazio, Ippolita e Beatrice; Marcantonio morì nel
1561, e gli successe il primogenito Fabrizio; quindi, per la morte
immatura di costui, il secondogenito Giovanni Michele.
Tanto basti, per meglio intendere la storia pietosa della povera Isabella,
cui erige ora, in queste carte, un monumento pietoso la gentilezza di un
illustre discendente, l’architetto Carlo Morra dei Marchesi di
Monterocchetta, che fa tanto onore all’arte italiana nella Repubblica
Argentina. Come fu un Morra che, primo, ci ha rivelato la terribile
tragedia che era avvenuta nella sua famiglia, così è un Morra che vuol
divulgate le rime della sua nobile infelicissima antenata, desideroso sia
fatta gloriosa vendetta di un caso tanto atroce e nefando.
Angelo
De Gubernatis
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